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Capraia è un’isola di cui ci si innamora appena vi si poggiano gli occhi e si può iniziare a sognare.

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I greci la chiamarono Aigylion, poi i Romani Capraria, per la presenza di capre selvatiche, si dice, o per la sua roccia (Karpa) di origine vulcanica. Isola selvaggia, dove uomo e natura convivono in un equilibrio da copiare.

Non è un’isola turistica, la stagione apre in primavera con il ‘Walking Festival’ e chiude a Novembre con la tradizionale ‘Sagra del Totano di Capraia’. In questi 5 mesi, tra un evento e l’altro, c’è da visitare. Escursioni a piedi, per i camminatori: un percorso ad anello di 10 km (impegnativo) che porta a Lo Stagnone, dove grazie a un microclima particolare diventa oasi naturale per molte specie di uccelli che vivono nell’isola.  L’occhio si perde tra le meraviglie della natura; mirto, elicriso, lentisco e rosmarino selvatico circondano i sentieri, macchia mediterranea su roccia vulcanica, quindi, niente ombra, niente alberi. Qualche muflone, qualche serpentello innocuo, nei pressi dello stagno. E poi mare. Mare di quel blu che sembra disegnato. Di quel blu che non è cielo, non è acqua, ma è mare, mare di Capraia.

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Con un modico onere si può noleggiare la barca, un gozzetto di 3 metri, per girare un pochino: da visitare assolutamente, a sud, Cala Rossa e la Torre dello Zenobito, costruita dai Genovesi nel 1540 con laTorre del Porto e quella dei Barbici, insieme al Forte San Giorgio. Poi lo Scoglione, dove soggiornano il Gabbiano Reale ed il Gabbiano Corso. E ancora a Nord, una puntatina veloce per vedere l’unica spiaggia dell’isola, il Secchino, che si raggiunge con il servizio taxi boat. Unazona di secca di fronte al porto, ma soprattuto zona di pesca dei residenti. E infine Le Formiche, gli scogli affioranti a 500 metri dalla costa. Meravigliosi.

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La strada è una soltanto, circa un chilometro. Con il tram, che fa 4 fermate, 5 quando arriva o parte il traghetto. Le salite tirano, i polpacci riscoprono passi quasi dimenticati in città. Dal porto si può salire a piedi fino in paese con la strada vecchia, ripidissima, ma più rustica e tradizionale.

L’abitato si districa tra bouganvillee enormi e le casette tutte colorate. Pochi ristoranti e locali di nuova apertura, che offrono la specialità dell’isola, il cosiddetto ‘totano a muso duro’, dal sapore deciso, non indicato ai palati delicati. Totano pescato e cotto su brace con pelle ed interiora. Poi condito. Molto wild! C’è anche una braceria, il Barracuda, che offre piatti meno tipici e tanta carne. Al porto una Friggitoria e Carpacceria, il giusto connubio tra chiosco e ristorantino, con un fritto a regola d’arte e offerta di pesce crudo locale.

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La sera è d’obbligo la passeggiata lungo la banchina a rifarsi gli occhi con gli yacht ormeggiati, e tappa alla gelateria per finire a sentire musica dal vivo al Le Rive Droite, cocktail bar un po’ spartano di nuovissima apertura.

Le strutture ricettive non sono molte, si conta un albergo, un residence ed un campeggio, in compenso ci sono due aziende agricole una anche opificio dove fare incetta dei prodotti locali: cera d’api, miele, vino e grappa. Da trattare con un occhio di riguardo la birra locale, del Piccolo Birrifcio Clandestino, che si chiama come l’isola, Karpa, fatta con infusione di elicriso. Particolare, da meditazione.

Capraia è questo e molto di più. È un’isola di cui ci si innamora appena vi si poggiano gli occhi e si può iniziare a sognare.

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San Gimignano è incantevole anche sotto la pioggia, quando i suoi vicoli si riempiono di un fiume disordinato di ombrelli colorati

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San Gimignanoè incantevole anche sotto la pioggia, quando i suoi vicoli si riempiono di un fiume disordinato di ombrelli colorati. Quando il cielo prende il colore della pietra con la quale sono costruiti i palazzi, ma viene movimentato dalle variopinte bandiere delle sue contrade. Quando una certa bruma la avvolge, donandole quel fascino misterioso e schivo capace di trasportarti indietro nei secoli fino all’epoca medioevale. Quella delle lotta per le investiture, tra Guelfi e Ghibellini, qui rappresentati dagli Ardinghelli e dai Salvucci, quella delle botteghe e dei mercanti, quella delle famiglie benestanti che per ostentare al mondo il proprio potere economico e sociale ordinavano la costruzione di una torre. E se una avesse mai prevalso su un’altra, la rispettiva torre veniva rasa al suolo in segno di sconfitta.

Opere architettoniche che, non a caso, sono valse a definire questo borgo con l’appellativo di “città delle torri”. Nella San Gimignano del Trecento esse erano in numero assai maggiore rispetto ad oggi: 72 contro le attuali 15 (c’è chi indica anche 14 o addirittura 16). Sembra impossibile, ma all’interno di questi ambienti così ristretti un tempo ci si viveva. All’ombra di quei muri spessi ci si riparava dal caldo in inverno e dal freddo in estate. Al piano terra la bottega, in quello di mezzo le camere e la cucina, per mere motivazioni di sicurezza, era posta nella zona più alto.

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Oggi sono delle icone che caratterizzano fortemente l’orizzonte di questo borgo, dal 2011 parte del Patrimonio dell’Unesco, che catturano lo sguardo con le loro forme e altezze sempre diverse. Dovrai visitarlo a piedi, lasciando l’auto in uno dei numerosi posteggi che si trovano appena fuori le mura.

Iniziando il percorso da Porta San Giovanni giungerai alla magnifica piazza della Cisterna, un vero e proprio gioiello. Pianta a triangolo rovesciato, delimitata da una cortina di palazzi misti a torri nobiliari, prende il nome dal pozzo ottagonale in travertino posto al suo centro. A questo punto forse sarai pervaso da un timido desiderio di scattare una foto, ma dovrai fare i conti con millemila turisti, specie nel fine settimana.

Poco più avanti c’è piazza del Duomo. Ancora stupore, ancora geometria – la pianta è trapezoidale – ancora torri, come quelle Gemelle o la torre Grossa del palazzo del Podestà, e la Chiesa della Collegiata con affreschi e decorazioni che portano la firma di artisti come Domenico Ghirlandaio e Jacopo della Quercia. Di qui alla rocca di Montestaffoli, nelle cui vicinanze si trova anche il consorzio della denominazione San Gimignano, il passo è breve e il panorama incredibile.

E se, sulla via del ritorno, come per incanto spunterà il sole, proverai la voglia di ripetere l’itinerario per scoprirne le bellezze sotto una nuova prospettiva.

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Arrivare in auto.

Da Nord (Milano)
- Autostrada A1 Milano-Roma direzione sud
- Uscita FIRENZE IMPRUNETA
- Superstrada Firenze-Siena
- Uscita POGGIBONSI NORD
- Seguire indicazioni stradali per San Gimignano (Km.11)

Da Sud (Roma)
- Autostrada A1 Roma-Milano direzione nord
- Uscita VALDICHIANA
- Seguire indicazioni per Siena
- A Siena entrare nel raccordo autostradale direzione Firenze
- Uscita POGGIBONSI NORD
- Seguire indicazioni stradali per San Gimignano (Km.11)

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Arrivare in aereo.

- Aeroporto di Pisa (Galielo Galilei): www.pisa-airport.com
- Aeroporto di Firenze (Amerigo Vespucci): www.safnet.it
Collegamenti con stazione ferroviaria e autobus con servizi TAXI e autobus.

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Arrivare in treno e autobus.

In treno da Nord
Linea: Milano-Bologna-Firenze
- Firenze-Empoli
- Empoli-Siena (scendere stazione Poggibonsi/San Gimignano)
- Autobus per San Gimignano
Linea: Genova-Pisa
- Pisa-Empoli
- Empoli-Siena (scendere stazione Poggibonsi/San Gimignano)
- Autobus per San Gimignano

In treno da Sud
Linea: Roma-Firenze (cambiare a Chiusi/Chianciano Terme)
- Chiusi/Chianciano Terme-Siena
- Siena-Empoli (scendere stazione Poggibonsi/San Gimignano)
- Autobus per San Gimignano
Linea: Roma-Pisa
- Pisa-Empoli
- Empoli-Siena (scendere stazione Poggibonsi/San Gimignano)
- Autobus per San Gimignano
- Trenitalia: www.trenitalia.com

In autobus
- Collegamenti da Firenze e da Siena
- Tiemme S.p.a: www.tiemmespa.it

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Gli interni abruzzesi della villa Dragonetti De Torres a Paganica (1a parte).

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L’incontro con la villa Dragonetti De Torres a Paganica, per chi vi é stato  sospinto dal suo richiamo, è improvviso. La prospettiva della facciata si mostra nella sua interezza subito dopo una doppia curva, che sfiora e subito abbandona il centro cittadino e costringe lo sguardo verso un punto di fuga che si posiziona alle falde, molto prossime, del Gran Sasso. 

Questo primo gioco ottico ci consegna subito una costante della conca aquilana, dove il massiccio montuoso gioca la sua predominanza e dona un significato particolare, nel rapporto segnico-spaziale, a tutto ciò che lo circonda. L'impressione che si riceve, sotto la regia di un tale denominatore/dominatore comune, va a rafforzare la funzione antica della villa, cioè quel rapporto segnicamente forte sui possedimenti terrieri dei Dragonetti De Torres nel territorio preurbano.

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La Villa si posiziona come esatto pendant del castello di Lucoli che, a sua volta, esercitava il controllo sulla proprietà patrizia a nordovest della città dell'Aquila. Tanto che, andando a ritroso nel tempo, è cosa ovvia portare a mente che la dimensione di questa funzione sul territorio, vista nel momento di massima espressione della potenza dei Dragonetti De Torres, realizzava la sua perfezione d'immagine giocando con un punto preciso del centro della città aquilana, rappresentato dal palazzo di città della famiglia, sede, oggi, di importanti istituzioni.

Dai racconti raccolti sul luogo, facilmente suffragati anche dalla sola osservazione del terreno antistante la villa, possiamo immaginarne l'antica e dolce inclinazione che conformava un proscenio del tutto particolare. Proscenio che si distendeva sino a lambire il corso delle acque che, con naturalezza, discendevano dal massiccio e che oggi, invece, noi troviamo costrette, nella loro scarsa portata, a districarsi attraverso una cementificazione indiscriminata.

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I leoni scolpiti nella pietra, che anticamente erano posti a guardia dell'ingresso della villa e che dominavano la strada -ad essere più precisi un camminamento- oggi mal raggiungono con la loro pericolosa fierezza l'interesse disattento degli intrusi. Attualmente nascondono i loro ruggiti di pietra dietro l'impenetrabilità del muro di cinta che perimetra tutto l'edificio.

Questa costrizione subita dal fronte della villa, che ha preso la forma attuale man mano nel tempo, per un esercizio del paradosso dilata la vasta estensione, a prato e a ghiaia, posteriore, che conduce, dolcemente, all'altro ingresso non meno ricco architettonicamente e in dialogo fluente con la struttura del giardino all'italiana che s'intravede attraverso l'alta siepe perimetrale di bosso.

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Con immaginazione, oggi, possiamo comprendere ciò che intimamente animava la visione che si offriva a chi ruotava lo sguardo, verso destra, di centottanta gradi -dal frontale con le prime ripartizioni del giardino alla parte postriore con la sua distesa ampia- quella sensazione complessa ed esaltante del possesso. La vera essenza dell'essere padroni e padroni del mondo, tanto vasto e ricco di segni era il dominio che si mostrava.

La villa, da non molto tempo, ha iniziato una fase nuova della sua storia che la dispone ad una funzione diversa e contrapposta all'antica, rivolta ad una propria autoaffermazione, ad una flessione quasi sensuale, fortemente tesa verso l'ammirazione della propria bellezza, ad un conclusivo gesto narcisistico da fine atto, proprio come il gesto, rallentato dalla storia, di una Gran dama nella tarda ora della sua lunga vita.

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Il nuovo proprietario di villa Dragonetti è Paolo Barattelli. E' sufficiente l'appartenenza a questa famiglia, che tanto lustro ha dato negli ultimi decenni alla storia aquilana, per avere la certezza di una garanzia sulla salvaguardia e sul futuro della villa di Paganica.

L'impegno assunto dalla nuova proprietà, nelle operazioni di stabilizzazione delle parti più a rischio dell'edificio e nel restauro degli affreschi e delle pitture della decorazione interna, riconsegna, oggi, nella sua compiutezza la bellezza formale della residenza di campagna.

Il risultato ottenuto offre, oggi in Abruzzo, un modello raffinato ed elegante di relais di campagna che non ha nulla da invidiare a quelli, ritenuti insuperabili, della Toscana o dell'Umbria. 

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La posizione, la luce, la maestosità dell'edificio con i suoi aspetti particolari ci fanno gustare una bellezza ed una ricchezza così particolari che si stenta a conciliarli con la severità propria del luogo.

Villa Dragonetti De Torres è, per svariati motivi, il disegno di un azzardo epocale. Difatti, già gli anni della sua edificazione, quelli tumultuosi e provvidi di profonde trasformazioni a cavallo tra settecento e ottocento, la vedono come tale.

I moti rivoluzionari che interessarono Napoli ed il Regno nel 1799 seguivano le trasformazioni profonde marcate dalla madre di tutte le rivoluzioni: quella francese del ‘93. Le classi sociali europee più intrise d'illuminismo ebbero, quindi, il bisogno impellente d'imprimere nell'accelerazione della storia un'immagine di sé totalmente rinnovata, tanto nelle idee quanto nel gusto e nello stile.

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La traduzione degli stilemi del classicismo, in quegli anni, percorsero tutte le direzioni possibili, da quella semplice e pubblica dell'oratoria con cui si arringavano popoli ed eserciti, all'architettura, alla decorazione, all'arredo e al disegno degli abiti, e villa Dragonetti porta impressa in sé una coniugazione incessante di questi generi.

Si può azzardare nell'affermare che la sua ansia di registrazione l'ha lasciata come archivio ideale di un'epoca, dal quale possiamo portare ad evidenza con facilità le sue icone più significative.

Già dalla galleria, al piano terra, che collega i due ingressi, si può osservarne la dinamica evolutiva.

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Gli interni abruzzesi della villa Dragonetti De Torres a Paganica (2a parte).

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Qui la decorazione parietale ad affresco viene intervallata, in entrambi i lati, da nicchie che accolgono una serie di busti marmorei di epoca romana, reperti provenienti dal mercato antiquario da cui i Dragonetti attinsero e che contribuì ad arricchire l'ordine decorativo della villa. 

Da questo stesso mercato è sicura la provenienza anche delle realizzazioni, di cui si trova traccia sul frontale principale, dei copisti dell'ottocento. Opere che riproducevano tipologie standard di sculture a rilievo desunte dalla produzione antica. Siano essi fregi o medaglioni ma, comunque, adatti a scandire, con la loro ritmia di posizione, le aperture di luce del piano nobile.

Se queste aggiunte antiquarie per quel che riguarda l'architettura della villa -ancora immersa nel settecento- sono un'anticipazione dello stile neoclassico, quest'ultimo trova maggiore unitarietà ed espressività, moderna per i tempi, nella decorazione ossessiva e minuziosa dei siti abitativi interni che si susseguono, uno dopo l'altro, in cui si giunge a gustarne l'apoteosi della sua purezza stilistica. E' il caso, ad esempio, del grande salone che si affaccia, sulla destra, sul giardino all'italiana.

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La lettura, però, del solo testo architettonico costringe a continui riassetti sulla identità e collocazione dello stile dominante. Risistemazioni, sicuramente, dovute ad una discontinuità degli intenti architettonici in relazione alle loro funzioni. Difatti, e come esempio, il vasto ambiente della "danseuse" -oggi disposta per essere una delle sale atte alla ristorazione- che ha avuto bisogno, all'origine, di una accentuazione dell'ideazione della struttura settecentesca per supplire ad una mancanza: quella della luce.

Ma tale empasse stilistica in un corpo che si voleva nuovo, neoclassico appunto, scompare, a volte, immediatamente e, nell'ambiente subito adiacente, come ravveduti dal peso della tradizione e coadiuvati dalla leggerezza inventiva e cromatica delle nuove pitture parietali, di gran moda all'epoca, ritrova vigore la fisionomia di un carattere architettonico del tutto rinnovato.

L'evidenza di questa discontinuità di stile, sul piano pittorico, è testimoniata anche dalla qualità delle pitture ad affresco diversamente riversate sulle pareti e sui soffitti. Infatti, là dove la decorazione svolge il tragitto del neoclassicismo maturo, la sua modernità si evidenzia nella razionalizzazione dello spazio, nel ritmo costante, nella ripetizione insita ad una produzione che si avvia ad essere alto artigianato, dove anche il "grotesque" -antica maniera derivata dalla pittura pompeiana e ritradotta già nel rinascimento tenendo presente gli affreschi della Domus Aurea- ridiviene espressione del nuovo.

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Modernità che invece non si riscontra nelle pitture ogivali dei soffitti delle maggiori sale, di rappresentanza, situate alla destra del salone delle feste. Dipinte con scene mitologiche, e non -si prediligevano, per l'occasione, illustrazioni di luoghi e costumi lontani- che si adagiavano su di una pittura ancora deferente verso i canoni tradizionali seicenteschi, ancora ben forti all'epoca, e testimonianza viva, della querelle tra arte e artigianato che proprio da quel momento segnano il percorso del moderno. 

Difatti, la finitura eccellente dei grotesque, la loro leggerezza e la cromia, nuova e fantasiosa dispiegata in loro, con colori molto luminosi e volutamente appiattiti, mal sposano in uno stesso ambiente le rappresentazioni di vedute stilisticamente agganciate alla tradizione, come i desueti soggetti arcadici. 
Tuttavia, nel riscontro di questa discontinuità , che forse testimonia anche la diversità di gusto della committenza, nel tempo, e delle maestranze in opera a Paganica -le fonti documentarie su villa Dragonetti De Torres sono in gran parte disperse o, per quel che resta, di difficile consultazione- è possibile, per noi oggi, rintracciarvi anche quella caratteristica, tutta inscritta nell'illuminismo settecentesco, della curiosità documentaria per tutto ciò che è lontano e, quindi, esotico. Curiosità che correva parallela ad una originale e originaria necessità di documentarsi, di essere per la scienza e non per la superstizione.

Questo tipo di approccio alla catalogazione del nuovo e del diverso, attraverso la riproduzione con le immagini, non riportava però l'oggetto ritratto nella sua esattezza reale -a cui oggi, invece, si è abituati attraverso l'uso di strumenti che la ottengono operando di fronte ad esso: la fotografia- ma come assemblaggio di particolari in gran parte prodotti dall'immaginazione e dal sentito dire.

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Questa sfasatura sulla resa del reale è evidente quando, passando dalla galleria agli appartamenti nobiliari -utilizzando il breve ordito della scalinata che ha, successivamente, un proseguo di comunicazione con i piani superiori- ci soffermiamo sulle immagini curiose e intriganti che vanno a formare il bestiario dipinto diffusamente sulle pareti. E così, se il fiero mastino sembra essere lì in carne ed ossa, reale -attraverso l'artificio del trompe l'oeil- il calandrino, il formichiere e gli altri animali ci appaiono lontani prodotti di una fantasia che civetta con il pressapoco. Le loro raffigurazioni sembrano intuite dai racconti piuttosto che selezionate dall'occhio. A totale beneficio dei semiologi, possiamo affermare che il testo pittorico era funzionale a quello narrativo/descrittivo, di fatto, quest'ultimo, lo precedeva.

Tale è la misura della quantità di particolari stilistici che attraggono nelle pitture a decoro sulle pareti, che si riesce a ben sopportare la mancanza, quasi totale, dell'arredo mobiliare originale.

Il ricco patrimonio di mobili, anch'esso custode di un gusto insuperato, è stato disperso sul mercato antiquario dalle varie generazioni dei Dragonetti che si sono succedute nella proprietà di Paganica, ed è risultato impossibile, per l'attuale proprietario, ritrovarne le tracce delle unità compositive, in modo da poterne reinserire delle similari. Compito, quest'ultimo, che ingigantirebbe, enormemente, l'apporto economico per una resa compiutamente esaustiva dell'intervento di restauro.

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Possiamo, oggi, solo immaginare la teoria di cassettoni e gueridon con intarsiate greche e medaglioni con vedute e chinoiseries, con i loro pianali in marmo bianco e gambe, a tronco piramidale, che irrigidivano lo stile, ormai sorpassato, di Luigi XVI. Ma anche l'eclettismo raggiunto nell'abbinamento e valorizzazione di diversi tipi di legni preziosi, l'ebano e il mogano, ad esempio. Impreziositi nella decorazione, che già tende ad una funzionalità nuova, dal bronzo, cesellato o dorato, che forniva un panorama vasto di cariatidi, cigni, teste leonine e quant'altro di significativo, sul piano dell'immagine, la rilettura del classico portava a nuova vita.

E', invece, sufficiente rintracciare nella forma, come anche nella leggerezza del colore di un semplice paio di ali di putto o nel figurino di una dama, l'influenza del tratto stilistico caro a Fussli -insuperato artista del nord Europa che, primo, interessò la sua arte ad essere documento di un gusto e di uno stile di vita mondano- per sopportare qualsiasi altra mancanza gli uomini e il tempo hanno impresso a villa Dragonetti.

L'intero complesso stordisce per l'eccesso di una offerta. Il visitatore, o i prossimi e futuri ospiti, nel lungo tragitto, tra soffitti a cassettoni che sfidano nella loro ricchezza decorativa la natura e preziose cappelle private in cui si sono alzate e depositate implorazioni, purtroppo umane, ancora udibili, è soggetto ad una pressione continua che raggiunge la sua potenza maggiore in quel luogo, angusto e privato, della torretta sommitale da cui lo sguardo, abbacinato dalla troppa luce, si ritrae.

Questo gesto nel tentativo di salvare precipita, invece, l'azione della retina, che si adagia sconfitta e remissiva ad accogliere il saluto dell'Olimpo intero, degli Dei che festosi ed inaspettati gli si pongono innanzi.

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Una Gita Fuori Porta: i 10 post più cliccati nel mese di Agosto 2013.

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1.- Gli interni abruzzesi della villa Dragonetti De Torres a Paganica (2a parte).

villa-dragonetti-de-torres7_thumb[2]Qui la decorazione parietale ad affresco viene intervallata, in entrambi i lati, da nicchie che accolgono una serie di busti marmorei di epoca romana, reperti provenienti dal mercato antiquario da cui i Dragonetti attinsero e che contribuì ad arricchire l'ordine decorativo della villa.  Da questo stesso mercato è sicura la provenienza anche delle realizzazioni, di cui si trova traccia sul frontale principale, dei copisti dell'ottocento. Opere che riproducevano tipologie standard di sculture a rilievo desunte dalla produzione antica. Siano essi fregi o medaglioni ma, comunque, adatti a scandire, con la loro ritmia di posizione, le aperture di luce del piano nobile. Se queste aggiunte antiquarie per quel che riguarda l'architettura della villa -ancora immersa nel settecento- sono un'anticipazione dello stile neoclassico, quest'ultimo trova maggiore unitarietà ed espressività, moderna per i tempi, nella decorazione ossessiva e minuziosa dei siti abitativi interni che si susseguono, uno dopo l'altro, in cui si giunge a gustarne l'apoteosi della sua purezza stilistica.

 

2.- Gli interni abruzzesi della villa Dragonetti De Torres a Paganica (1a parte).

villa-dragonetti-de-torresL’incontro con la villa Dragonetti De Torres a Paganica, per chi vi é stato  sospinto dal suo richiamo, è improvviso. La prospettiva della facciata si mostra nella sua interezza subito dopo una doppia curva, che sfiora e subito abbandona il centro cittadino e costringe lo sguardo verso un punto di fuga che si posiziona alle falde, molto prossime, del Gran Sasso.Questo primo gioco ottico ci consegna subito una costante della conca aquilana, dove il massiccio montuoso gioca la sua predominanza e dona un significato particolare, nel rapporto segnico-spaziale, a tutto ciò che lo circonda. L'impressione che si riceve, sotto la regia di un tale denominatore/dominatore comune, va a rafforzare la funzione antica della villa, cioè quel rapporto segnicamente forte sui possedimenti terrieri dei Dragonetti De Torres nel territorio preurbano.

 

3.- San Gimignano è incantevole anche sotto la pioggia, quando i suoi vicoli si riempiono di un fiume disordinato di ombrelli colorati.

san-gimignano1-620x462San Gimignanoè incantevole anche sotto la pioggia, quando i suoi vicoli si riempiono di un fiume disordinato di ombrelli colorati. Quando il cielo prende il colore della pietra con la quale sono costruiti i palazzi, ma viene movimentato dalle variopinte bandiere delle sue contrade. Quando una certa bruma la avvolge, donandole quel fascino misterioso e schivo capace di trasportarti indietro nei secoli fino all’epoca medioevale. Quella delle lotta per le investiture, tra Guelfi e Ghibellini, qui rappresentati dagli Ardinghelli e dai Salvucci, quella delle botteghe e dei mercanti, quella delle famiglie benestanti che per ostentare al mondo il proprio potere economico e sociale ordinavano la costruzione di una torre. E se una avesse mai prevalso su un’altra, la rispettiva torre veniva rasa al suolo in segno di sconfitta. Opere architettoniche che, non a caso, sono valse a definire questo borgo con l’appellativo di “città delle torri”. Nella San Gimignano del Trecento esse erano in numero assai maggiore rispetto ad oggi: 72 contro le attuali 15 (c’è chi indica anche 14 o addirittura 16).

 

4.- Capraia è un’isola di cui ci si innamora appena vi si poggiano gli occhi e si può iniziare a sognare.

capraia-03-620x462I greci la chiamarono Aigylion, poi i Romani Capraria, per la presenza di capre selvatiche, si dice, o per la sua roccia (Karpa) di origine vulcanica. Isola selvaggia, dove uomo e natura convivono in un equilibrio da copiare. Non è un’isola turistica, la stagione apre in primavera con il ‘Walking Festival’ e chiude a Novembre con la tradizionale ‘Sagra del Totano di Capraia’. In questi 5 mesi, tra un evento e l’altro, c’è da visitare. Escursioni a piedi, per i camminatori: un percorso ad anello di 10 km (impegnativo) che porta a Lo Stagnone, dove grazie a un microclima particolare diventa oasi naturale per molte specie di uccelli che vivono nell’isola.  L’occhio si perde tra le meraviglie della natura; mirto, elicriso, lentisco e rosmarino selvatico circondano i sentieri, macchia mediterranea su roccia vulcanica, quindi, niente ombra, niente alberi. Qualche muflone, qualche serpentello innocuo, nei pressi dello stagno. E poi mare. Mare di quel blu che sembra disegnato. Di quel blu che non è cielo, non è acqua, ma è mare, mare di Capraia.

 

5.- Escursioni di un giorno nell’area turistica Gran Paradiso: Jovençan - Col de Vertosan.

Gran Paradiso Jovençan - Col de Vertosan

Descrizione del percorso:

Raggiunta la località di Jovençan, nel comune di Avise, proseguire sulla strada poderale e, dopo aver superato l‘Alpe Tronchey, raggiungere l‘imbocco del sentiero n° 30 indicato in loco dalla segnaletica verticale. Risalendo il versante, tra pascoli alpini e falde detritiche, si supera l‘alpeggio di Méanaz e si raggiunge il Col di Vertosan.

Periodo Consigliato:

1 Luglio - 30 Settembre

Difficoltà:
E - Escursionistico

 

6.- Escursionismo in Liguria: Colle della Melosa, Monte Toraggio e Monte Pietravecchia.

Si parte dal Rifugio Allavena al Colle della Melosa (1540) raggiungibile in 40 km da Arma di Taggia. Si segue la strada sterrata ex-militare fino al primo tornante dove si imbocca la mulattiera che si stacca sulla sinistra e che conduce all'inizio del "Sentiero degli Alpini".  Il Sentiero degli Alpini, in alcuni tratti scavato nella roccia, costeggia le pareti orientali del Monte Pietravecchia e raggiunge con un ripido zig-zag la Gola dell'Incisa (1685), stretto intaglio sullo spartiacque Roia-Nervia al confine tra Italia e Francia. Dopodichè prosegue a mezzacosta sotto il Toraggio fino ad incontrare l'Alta Via dei Monti Liguri (segnavia  ) risalente dalla Gola di Gouta.  Si svolta a destra e con una breve salita si guadagna il crinale al Passo di Fonte Dragurina (1810) alle pendici meridionali del Toraggio. Da qui si segue una labile traccia (EE, alcuni bolli rossi) fino in vetta al Monte Toraggio (1973).

 

7.-  Lago di Como, passeggiando o facendo un giro in battello è possibile godere di fantastici scorci e panorami.

lago di Como

Il lago di Como ha una superficie di 146 km quadrati e raggiunge 414 metri di profondità. E' il terzo lago italiano per estensione dopo quello di Garda e il Verbano. E' un lago stretto e lungo, dalla forma di Y rovesciata, con i due rami che vanno a sud verso Lecco e a sud-ovest verso Como. Nei Promessi Sposi il lago di Como viene decantato dal Manzoni con questi celebri versi: "Quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno....".
Il bacino è composto da tre parti differenti: a sud-ovest il ramo di Como, a sud-est il ramo di Lecco e a nord il ramo di Colico (o "alto lago"), il più aperto dei tre. I fiordi meridionali rinserrano il montagnoso Triangolo Lariano. La divisione dei tre rami è ben visibile dal Sasso di San Martino, sopra Griante. Particolarmente tipica è la costa orientale del ramo comasco, impervia e ricoperta di boschi.

8.- Portofino è da sempre soprannominata la "Piazzetta" più bella del mondo.

Portofino è senza dubbio uno dei borghi marinari più belli e famosi del mondo. Negli anni 60' e 70', star come Ava Gardner, Frank Sinatra, Brigitte Bardot e Lauren Bacall, Humphrey Bogart, Elizabeth Taylor e Richard Burton, Clark Gable, Catherine Deneuve, Liza Minelli e Rex Harrison, frequentavano l'Italia per appassionanti incontri mondani pieni di suggestione.
I giornali di quell'epoca che si occupavano di mondanità, facevano a gara per raccontare nel mondo queste storie piene di fascino e di mistero che hanno reso celebre l'Italia, come simbolo della "Dolce Vita" Internazionale quando si animava in Via Veneto e Piazza di Spagna a Roma. Oggi è ancora luogo d’incontro del jet-set e turismo internazionale.

9.- Gli Itinerari nel Parco della Lessinia: percorsi di tipo naturalistico - ambientale, strutture museali e importanti siti archeologici.

lessinia parco fioreIl Parco Naturale della Lessinia occupa la parte sommitale dei Monti Lessini. Ha nelle particolarità geologiche e nei paesaggi che da esse conseguono la sua più forte connotazione: doline, grotte, ponti naturali, sono fenomeni di grande interesse scientifico che offrono al visitatore incantevoli visioni. Famosi sono i giacimenti fossiliferi di Bolca - Pesciara e Monte Postale, che hanno fornito reperti di specie vegetali ed animali degli ambienti lagunari e oceanici, oggi apprezzabili nel locale Museo dei Fossili. Di notevole interesse sono anche gli aspetti vegetazionali e faunistici visitabili nei Musei della Lessinia e nel Centro di educazione Ambientale di Malga Derocon.

10.- Bioparco di Roma, nel cuore di Villa Borghese, la natura vista da vicino.

Situato nel cuore di Villa Borghese, al centro di Roma, il Bioparco nasce nel 1911 ed è uno dei più antichi Giardini Zoologici d'Europa. Oggi ospita oltre 1.000 animali appartenenti a 200 specie tra mammiferi, rettili, uccelli e anfibi ed è inserito in un contesto botanico tra i più interessanti e suggestivi di Roma con più di 1.000 alberi, alcuni dei quali rari e centenari. Qual è il ruolo di uno zoo? Negli ultimi decenni l'antico concetto di zoo è cambiato radicalmente, passando da un luogo in cui si collezionavano animali rari ad una struttura attiva:
- nella conservazione delle specie minacciate di estinzione attraverso la partecipazione ai programmi internazionali di riproduzione in cattività;
- nell'educazione ambientale attraverso mostre, convegni, attività di sensibilizzazione per il pubblico, eventi mediatici e progetti didattici per le scuole.

5.- Il lago d'Orta o Cusio è un lago alpino del Piemonte collocato tra le province di Novara e del Verbano-Cusio-Ossola.

Il Lago d'Orta, che si trova ad ovest del Lago Maggiore, lascia il turista con una sensazione unica ed indimenticabile grazie ai suoi panorami mozzafiato, le sue vie strette e ciotolate e la sua vegetazione.
Ad est il monte Mottarone separa il lago d'Orta dal Lago Maggiore, mentre a ovest monti alti fino a 1300 metri separano lo specchio acqueo dalla Valsesia. È il più occidentale fra i laghi prealpini, originato dal fronte meridionale del ghiacciaio del Sempione. Contrariamente a quanto accade con molti laghi alpini, che hanno un emissario a sud, le acque del lago d'Orta escono dal lago a nord. Attraversano la città di Omegna dando vita al torrente Nigoglia che confluisce nello Strona che, a sua volta, sfocia nel Toce e quindi nel Lago Maggiore.

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Castello De Cesaris a Spoltore, costruzione antica, la cui fondazione è avvolta nel mistero.

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Quando il padre le donò l’antico e malandato fabbricato, noto a Spoltore come “il castello”, la signora Luciana De Cesaris era una giovane donna che svolgeva a Roma l’attività di arredatrice e lì coltivava i suoi interessi.

All’improvviso si ritrovò proprietaria del grande edificio che negli anni della sua infanzia aveva ospitato, oltre alla scuola e ad alcune botteghe di artigiani, anche la caserma dei carabinieri con le oscure prigioni, dove ancora ricorda di aver visto rinchiudere un ladro.

La famiglia De Cesaris lo aveva acquistato nel 1935 da un ricco possidente di Spoltore insieme ad alcuni terreni ma non si era mai interessata troppo alla cadente costruzione da tempo data in affitto ai carabinieri. Anzi quando questi ultimi la abbandonarono considerandola inagibile, ci fu un tentativo, non riuscito, di venderla al Comune, che già possedeva un terzo dell’intero fabbricato.

castello de cesaris

Non diverso era l’atteggiamento della giovane Luciana che, tuttavia, per non deludere le aspettative del padre, avviò l’opera di restauro all’inizio degli anni sessanta.

Visto dall’esterno del paese il castello si presentava come una fortezza dal muro perimetrale imponente ed omogeneo con qualche finestrella e una sola apertura in basso. Diversamente l’altra facciata, non modificata dai successivi lavori, guardava verso il centro storico della cittadina con le sue sobrie forme di settecentesco palazzo gentilizio, sovrastato, in modo originale, da una torretta di avvistamento. All’interno le grandi superfici del piano terra erano occupate dai magazzini, da sette cisterne per conservare acqua e grano e da una stalla per dodici cavalli. Al piano superiore varie sale comunicanti si rincorrevano attorno ad una piccola chiostrina.

La ristrutturazione, avvenuta in varie fasi, interessando all’inizio solo la facciata esterna e le stanze sul giardino, lo ha trasformato in una prestigiosa abitazione senza però stravolgerne l’originaria struttura. Sono, anzi, riaffiorate le tracce di antichi affreschi ed è tornata alla luce la pavimentazione di ciottoli di fiume dell’ampio corridoio, dove, con molta probabilità, passavano le carrozze ed i cavalli dei signori d’altri tempi.

Il grande magazzino cinquecentesco, dalle volte a crociera sorrette da colonne, è diventato il grande salone del piano terra, dal quale, però, attraverso due botole si può ancora accedere ad un’enorme cisterna e ad un piccolo rifugio, proprio quello in cui furono trovati fucili che risalgono al periodo risorgimentale. La suggestione del racconto fa subito pensare al periodo delle cospirazioni e dei moti carbonari, che coinvolsero marginalmente anche questi territori, e gli angoli più remoti dell’edificio appaiono luoghi ideali per incontri segreti.

Delle inquietanti atmosfere di quel passato non rimane che il sapore dei ricordi e delle fantasie mentre soltanto di recente la pubblicazione dei lunghi studi di Giustino Pace ha fatto piena luce sulle vicende storiche di Spoltore, alle quali la vita del castello, detto palazzo Castiglione, si intreccia profondamente (G. Pace, Spoltore. Dalle origini all’avvento del Fascismo, Libreria dell’Università Editrice).
Le zone buie non ci sono più e attraverso vetrate e finestre, sapientemente aperte sul muro della fortezza, il giardino e la verde campagna circostante entrano in casa e i vivaci occhi celesti della signora Luciana, che ci accompagna a visitarla, si illuminano quando guardano all’esterno e possono godere della bellezza del paesaggio nell’ora del tramonto.

Gli arredi e le suppellettili sono stati scelti con cura e rivelano il tocco esperto dell’arredatrice che, unendo al buon gusto una notevole inventiva, ha saputo conferire agli ambienti l’importanza e la preziosità che si addicono a ciò che è antico, ma anche la confortevolezza richiesta ad una moderna abitazione. La duplice identità che ne deriva, di palazzo di rappresentanza e di casa della nonna, ricca di calore e di ricordi, accresce il fascino dell’intero edificio e gli conferisce un carattere di unicità che lo fa sfuggire a precise classificazioni.

Dal momento in cui è tornato a vivere il castello è stato anche riaperto alla comunità spoltorese. Sin dall’inizio, infatti, la proprietaria aveva coltivato il sogno di rilanciare l’artigianato nel centro storico. Per questo spalancò le porte dei magazzini sulla piazza per ospitare, negli anni 1973-74 la grande mostra di mobili antichi, manifestazione che ebbe notevole successo anche grazie all’entusiasmo e alla disponibilità di alcuni antiquari romani, suoi amici.

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Gli stessi locali, sempre negli anni settanta, furono usati anche per le cinque edizioni della rassegna di artigianato femminile, ideata dalla signora De Cesaris per valorizzare il paziente e raffinato lavoro delle donne spoltoresi, che da generazioni si dedicano all’arte del ricamo e della tessitura. Inoltre, in tempo di vendemmia, la grande cantina diventava sede della mostra di vini, festosa ed importante manifestazione della quale rimane il ricordo nelle immagini giocose realizzate sulle pareti dei magazzini da un artista inglese.

Ormai le botti sono vuote e il castello è diventato “casa De Cesaris”. 

Non per questo i giovanili progetti sono sfumati, al contrario l’idea di avviare una scuola-bottega di ceramica, utilizzando gli ampi locali che aprono le loro porte sulla strada, ancora accende l’entusiasmo dell'intraprendente proprietaria che aspira a costituire un’associazione che coordini le proposte di quanti vogliono contribuire a salvare il centro storico di Spoltore facendo rifiorire le botteghe artigiane. Non c’é che da augurarsi che il sogno si tramuti in realtà.

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Santa Maria di Ronzano a Castel Castagna é una delle più belle testimonianze storico-culturali che offre la provincia teramana.

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Santa Maria di Ronzanoé una delle più belle testimonianze  storico-culturali che offre la provincia teramana. Risalendo la Vallata del Vomano, da Roseto degli Abruzzi verso il Gran Sasso, si scopre l'Abbazia che troneggia imponente e ben conservata in mezzo alla campagna circostante l'abitato del comune di Castel Castagna, sulla sponda destra del Mavone. 

La Chiesa, edificata nel 1171, é una meravigliosa combinazione di natura e di arte, con la sua facciata absidale e le celle campanarie dietro cui svetta il Corno Grande.

E' uno scenario incantevole: siamo nel bel mezzo della Valle Siciliana dai greci chiamata la “Valle dei fichi e degli olivi”dove più di tremila anni fa vi abitavano i siculi, come riferisce lo storico Tucidide. 

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Purtroppo l'incuria del tempo o, forse, le vicende di un antico vissuto privano oggi il visitatore di ciò che fu l'antichissimo cenobio benedettino il cui abate ronzanese era alle strette dipendenze del San Nicola di Bari.

Del resto nelle numerose testimonianze scritte sulla chiesa abbaziale di Ronzano ricorrenti sono i riferimenti pugliesi e pisani ma anche i richiami d'Oriente impressi nelle arcate cieche e nelle belle decorazioni di cui sono pieni i muri di questo importante monumento ricco di tesori come ad esempio la statua lignea gotica raffigurante la Madonna col Bambino, riesposta di recente dopo un attento e lungo restauro.

Lasciata la piccola frazione di Ronzano l’itinerario prosegue verso la vicina Castelli: famoso borgo incastellato alle pendici del Monte Camicia dove la manualità e l'ingegno sviluppatisi nel corso dei secoli hanno espresso un artigianato d'eccellenza nell'arte e nella lavorazione della ceramica. 

Lo stile architettonico della chiesa è caratterizzato da una chiara impronta di stile romanico – pugliese che si ritrova nell'impostazione delle finestrature, negli archi ciechi della zona del presbiterio e nella pianta che, sebbene internamente racchiuda tre absidi semicircolari, esternamente appare rettilinea. Queste caratteristiche accomunano la fabbrica di Ronzano alle chiese pugliesi della cattedrale di Bitonto, del duomo di San Corrado a Molfetta e della basilica di San Nicola a Bari.

Affreschi.

Il catino absidale contiene un ciclo d'affreschi medievali su cui la critica storico-artistica ancora dibatte : sono variamente datati 1181 o 1281, in base all'interpretazione che viene data dell'iscrizione dipinta che corre alla base della calotta absidale. Nella calotta absidale è rappresentato Cristo benedicente all'interno di una mandorla, attorniato da quattro angeli in volo: nella mano sinistra tiene un disco su cui è scritto EGO SUM LUX MUNDI o altrimenti EGO SO(L)LUS MUNDI.

Chiesa_di_Santa_Maria_di_Ronzano3Nel primo registro della parete absidale sono rappresentati i dodici apostoli, con al centro la rappresentazione dell'Annunciazione, con la Vergine Maria e l'arcangelo Gabriele, rispettivamente alla destra e alla sinistra della finestra.

Nel secondo registro iniziano le scene relative all'infanzia di Cristo: la prima scena a sinistra mostra la Visitazione della Vergine Maria a S. Elisabetta; segue la Natività di Gesù, con il Bambino doppiamente rappresentato.

Al centro della parete e immediatamente sotto la finestrella, è rappresentata l'Adorazione dei Re Magi, con la Madonna seduta in trono e il Bambino Gesù in braccio: purtroppo le figure dei Magi sono completamente scomparse, rimane solo una parte del cavallo riccamente agghindato.

Chiesa_di_Santa_Maria_di_Ronzano2

Segue la scena della Fuga in Egitto, con la Madonna seduta sul somaro insieme al Bambino e S. Giuseppe li guida, tenendo sulle spalle un bastone con appeso un fagotto e un barilotto, e indossa il pileus cornutus, il berretto a punta utilizzato nel XIII secolo come elemento distintivo per gli Ebrei. Nell'ultima scena del secondo registro è raffigurata la Strage degli Innocenti e in molti l'hanno collegata alla scena sottostante, l'ultima del terzo registro, variamente interpretata come le Pie Donne al sepolcro o le madri piangenti degli Innocenti.

Sul terso registro sono rappresentate le scene relative alla Passione di Cristo: la prima raffigura il Bacio di Giuda e la Cattura di Cristo operata da una moltitudine di soldati vestiti con l'armatura; segue Cristo davanti a Pilato, portato da un soldato; la Flagellazione di Cristo, con ai lati due soldati forniti di scudiscio e bastone; al centro della registro è la Crocifissione, in parte scomparsa, ma si riesce ancora ad ammirare la figura di Longino a sinistra con la lancia e la figura dell'altro soldato con il secchiello dell'aceto. Segue la Richiesta del corpo di Cristo e Pilato da parte della Madonna e di San Pietro; poi la Deposizione nel sepolcro, e l'ultima scena già sopra menzionata.

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Da vedere
Soffitto Maiolicato della Chiesa di San Donato, “La Sistina della maiolica”: 780 mattoni votivi AD 1615-1617; Raccolta Internazionale d'arte ceramica, più di cinquecento opere di artisti di 50 nazioni esposte presso l'Istituto d'arte; Presepe Monumentale, 54 statue in ceramica a grandezza naturale costruite dagli allievi dell'Istituto d'Arte 1965-1975.

La cucina
Oltre alla natura e alla storia la sosta può essere allietata dalla scoperta di piatti tipici di una rinomata gastronomia ricca soprattutto di “primi” come i maccheroni con le pallottine, il timballo di crispelle, le scrippelle ‘mbusse, ossia in brodo, e se capitate in zona il primo maggio non dimenticate “le Virtù” in omaggio alle buonissime erbe di stagione cucinate in modo tradizionale e casalingo con tanti tipi di pasta.

Sempre nella zona di Castel Castagna non mancano salumi e formaggi pecorini prodotti in maniera artigianale che si possono acquistare direttamente dai produttori o presso le aziende agrituristiche.

Informazioni
Centro informazione turistica Provincia di Teramo
Tel. 0861/ 331295-331537- Fax 0861. 331263-331545

Come arrivare
Autostrada A 14 uscita Roseto degli Abruzzi - Autostrada A 24 uscita Isola del Gran Sasso-Colledara.

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Itinerari pugliesi: Altamura città fiera e ribelle, bella e nobile per la sua storia e cultura.

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La chiamano la Leonessa di Puglia: stiamo parlando di Altamura, città fiera e ribelle, bella e nobile per la sua storia e cultura. Siamo a poco più di 40 km. da Bari e a 19 km. da Matera, quasi al confine della Puglia con la Basilicata. Questa è Altamura, città di storia e dal passato illustre. Il nome ricorda la mitica regina Altea, e nel passato prese anche il nome di Altilia, fiorente città dell'antica Peucezia. La presenza dell'uomo, ad Altamura, è antichissima, come i resti dell'Uomo di Altamura, vissuto all'incirca 400.000 anni fa nella grotta di Lamalunga, e i numerosi reperti recuperati negli scavi archeologici del territorio.
Cinquecento anni prima di Cristo, vennero elevate le poderose mura megalitiche, e da qui il nome di alte o meglio alta-mura. Col passare dei secoli arrivano i Saraceni, e poi i Franchi, ed infine, nel 1232, l'imperatore di Svevia, Federico II.

Altamura stradina

La città rinasce: l'imperatore, per devozione verso la Madonna, fece costruire una grande Cattedrale, una delle quattro basiliche imperiali in Puglia. Federico II dichiarò Altamura ed il suo territorio, città libera, dipendente soltanto dal re. Accorsero allora molte genti, compresi greci, arabi ed ebrei, che andarono ad abitare i quartieri dell'antico borgo medievale, alternato con stradicciole e claustri, tipiche piazzette chiuse. Se ne contano oltre 80 e si sono create quasi spontaneamente, per il ritrovarsi assieme di famiglie o gruppi etnici, tra cui anche greci, mori e giudei, come il claustro della Giudecca, il claustro Cionno e così via. Claustro vuol dire "luogo chiuso". Ne esistono di due tipi: quello a stile greco, con slargo tondeggiante con al centro solitamente un pozzo, e quello a stile arabo, come una piccola strada, stretta, con in fondo il pozzo per la raccolta delle acque piovane. Il claustro garantiva il vivere in comunità della gente, ma anche la difesa perché, essendo a vicolo cieco, poteva essere una trappola per gli assalitori, dove poter tendere insidie: sassi, olio o acqua bollente.

Altamura

Ogni comunità aveva il suo spazio religioso. Ad esempio i greci-ortodossi fecero costruire la chiesa di San Nicolò, chiamata appunto dei Greci, sul cui portale vennero riprodotte, nel 1576, scene dell'Antico e del Nuovo Testamento, oggi in gran parte ritoccate o sostituite, come il rosone centrale. Sul feudo di Altamura si alternano signorotti e baroni. Poi le sorti della città vennero affidate agli Orsini del Balzo, principi di Taranto, che elevarono chiese e conventi nel centro storico. Nel 1463, lo stemma comunale fu sormontato dalla corona, per espressa concessione dell'imperatore Ferdinando I d'Aragona. Città fiera e indipendente: Altamura. Nel 1531 gli stessi cittadini la riscattarono, pagando ben 20.000 ducati, pur di farla tornare libera, con la sua autonomia municipale. Altamura fu dote di matrimonio di Margherita d'Austria, figlia dell'imperatore Carlo V d'Asburgo.

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La città, tra '500 e '700, cresce con chiese e palazzi. Presso Porta Matera vi è la chiesa di San Francesco da Paola con l'annesso monastero di Santa Maria del Soccorso, nel 1872 diventato asilo Principessa Margherita di Savoia. Su piazza Zanardelli si affaccia l'elegante chiesa e convento di San Domenico, oggi sede dell'Archivio, Biblioteca e Museo Civico. All'interno della chiesa, dipinti e altari annunciano l'arte barocca: pregevole il pavimento, in maiolica, del 1750. Poco fuori la città vi è il santuario della Madonna del Buocammino, con festa e processione.

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Come da sotto ad un arco, appare la cinquecentesca chiesa di San Michele Arcangelo, dedicata al Suffragio delle Anime del Purgatorio. Tra i palazzi, il più antico, è il cinquecentesco Palazzo De Angelis-Viti, addirittura dimora degli Orsini Del Balzo. Più volte rimaneggiato, si eleva su tre piani: sontuoso ed austero il portale, elegante il loggiato su cui si apre Porta Bari.

Altri palazzi, come Baldassarre, Martini, Cagnazzi, Filo, Sabini, Melodia, testimoniano le nobili famiglie di Altamura. La cultura degli altamurani fu premiata nel 1748 da Carlo III di Borbone che istituì, in città, l'Università degli Studi, dove insegnarono professori di chiara fama.

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Le idee di libertà, uguaglianza e fraternità fiorirono in fretta: nel 1799 venne piantato l'Albero della Libertà con i simboli della rivoluzione francese e venne proclamata la repubblica. Il sogno di libertà durò pochi giorni perché giunsero immediatamente le truppe della Santafede, guidate dal cardinale Fabrizio Ruffo, in assedio della città. Altamura cercò di resistere con ogni mezzo e con soli tre cannoni: ma fu tutto inutile. Il 10 maggio dello stesso anno, l'esercito filoborbonico entrò in città, saccheggiandola.

Per il coraggio dimostrato e la fierezza ribelle dei suoi cittadini, Altamura venne soprannominata la Leonessa di Puglia. Palazzo Viti ospitò dal 1808 al 1817, la Corte d'Appello di Terra di Bari, Basilicata e Terra d'Otranto, concessa da Gioacchino Murat per il tributo di fede e di sangue del 1799. Lo spirito rivoluzionario si fece sentire anche nel Risorgimento tanto da fare di Altamura, la sede del Comitato Insurrezionale Barese e, dopo l'Unità del 1860, fu la sede del primo Governo Provvisorio per la Puglia. Il resto della storia è altrettanto gloriosa, dal Novecento fino ai nostri giorni.

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Una Gita Fuori Porta: i 10 post più cliccati nel mese di Settembre 2013.

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Chi per colpa della crisi deve rinunciare alle vacanze, può comunque regalarsi un week-end o almeno una giornata di relax.

Che sia alle terme, in un centro benessere, in montagna e persino in città, ecco dieci idee per fare una gita di benessere senza allontanarsi troppo da casa e coinvolgendo tutta la famiglia.

La selezione effettuata dai nostri lettori nel mese di Settembre 2013.

Si tratta di gite a parchi naturali, facili escursioni in montagna, sciatine per principianti fatte perlopiu' in giornata, insomma piccole avventure mediamente poco faticose, alla portata di tutti.

1.- Itinerari pugliesi: Altamura città fiera e ribelle, bella e nobile per la sua storia e cultura.

Altamura stradinaLa chiamano la Leonessa di Puglia: stiamo parlando di Altamura, città fiera e ribelle, bella e nobile per la sua storia e cultura. Siamo a poco più di 40 km. da Bari e a 19 km. da Matera, quasi al confine della Puglia con la Basilicata. Questa è Altamura, città di storia e dal passato illustre. Il nome ricorda la mitica regina Altea, e nel passato prese anche il nome di Altilia, fiorente città dell'antica Peucezia. La presenza dell'uomo, ad Altamura, è antichissima, come i resti dell'Uomo di Altamura, vissuto all'incirca 400.000 anni fa nella grotta di Lamalunga, e i numerosi reperti recuperati negli scavi archeologici del territorio.
Cinquecento anni prima di Cristo, vennero elevate le poderose mura megalitiche, e da qui il nome di alte o meglio alta-mura. Col passare dei secoli arrivano i Saraceni, e poi i Franchi, ed infine, nel 1232, l'imperatore di Svevia, Federico II. La città rinasce: l'imperatore, per devozione verso la Madonna, fece costruire una grande Cattedrale, una delle quattro basiliche imperiali in Puglia. Federico II dichiarò Altamura ed il suo territorio, città libera, dipendente soltanto dal re. Accorsero allora molte genti, compresi greci, arabi ed ebrei, che andarono ad abitare i quartieri dell'antico borgo medievale, alternato con stradicciole e claustri, tipiche piazzette chiuse.

 

2.- Santa Maria di Ronzano a Castel Castagna é una delle più belle testimonianze storico-culturali che offre la provincia teramana.

Chiesa_di_Santa_Maria_di_Ronzano1Santa Maria di Ronzanoé una delle più belle testimonianze  storico-culturali che offre la provincia teramana. Risalendo la Vallata del Vomano, da Roseto degli Abruzzi verso il Gran Sasso, si scopre l'Abbazia che troneggia imponente e ben conservata in mezzo alla campagna circostante l'abitato del comune di Castel Castagna, sulla sponda destra del Mavone.  La Chiesa, edificata nel 1171, é una meravigliosa combinazione di natura e di arte, con la sua facciata absidale e le celle campanarie dietro cui svetta il Corno Grande. E' uno scenario incantevole: siamo nel bel mezzo della Valle Siciliana dai greci chiamata la “Valle dei fichi e degli olivi”dove più di tremila anni fa vi abitavano i siculi, come riferisce lo storico Tucidide. 

 

3.- Castello De Cesaris a Spoltore, costruzione antica, la cui fondazione è avvolta nel mistero.

castello de cesarisQuando il padre le donò l’antico e malandato fabbricato, noto a Spoltore come “il castello”, la signora Luciana De Cesaris era una giovane donna che svolgeva a Roma l’attività di arredatrice e lì coltivava i suoi interessi. All’improvviso si ritrovò proprietaria del grande edificio che negli anni della sua infanzia aveva ospitato, oltre alla scuola e ad alcune botteghe di artigiani, anche la caserma dei carabinieri con le oscure prigioni, dove ancora ricorda di aver visto rinchiudere un ladro. La famiglia De Cesaris lo aveva acquistato nel 1935 da un ricco possidente di Spoltore insieme ad alcuni terreni ma non si era mai interessata troppo alla cadente costruzione da tempo data in affitto ai carabinieri. Anzi quando questi ultimi la abbandonarono considerandola inagibile, ci fu un tentativo, non riuscito, di venderla al Comune, che già possedeva un terzo dell’intero fabbricato.

4.- Gli interni abruzzesi della villa Dragonetti De Torres a Paganica (2a parte).

villa-dragonetti-de-torres7_thumb[2]Qui la decorazione parietale ad affresco viene intervallata, in entrambi i lati, da nicchie che accolgono una serie di busti marmorei di epoca romana, reperti provenienti dal mercato antiquario da cui i Dragonetti attinsero e che contribuì ad arricchire l'ordine decorativo della villa.  Da questo stesso mercato è sicura la provenienza anche delle realizzazioni, di cui si trova traccia sul frontale principale, dei copisti dell'ottocento. Opere che riproducevano tipologie standard di sculture a rilievo desunte dalla produzione antica. Siano essi fregi o medaglioni ma, comunque, adatti a scandire, con la loro ritmia di posizione, le aperture di luce del piano nobile. Se queste aggiunte antiquarie per quel che riguarda l'architettura della villa -ancora immersa nel settecento- sono un'anticipazione dello stile neoclassico, quest'ultimo trova maggiore unitarietà ed espressività, moderna per i tempi, nella decorazione ossessiva e minuziosa dei siti abitativi interni che si susseguono, uno dopo l'altro, in cui si giunge a gustarne l'apoteosi della sua purezza stilistica. E' il caso, ad esempio, del grande salone che si affaccia, sulla destra, sul giardino all'italiana.

5.- Gli interni abruzzesi della villa Dragonetti De Torres a Paganica (1a parte).

villa-dragonetti-de-torresL’incontro con la villa Dragonetti De Torres a Paganica, per chi vi é stato  sospinto dal suo richiamo, è improvviso. La prospettiva della facciata si mostra nella sua interezza subito dopo una doppia curva, che sfiora e subito abbandona il centro cittadino e costringe lo sguardo verso un punto di fuga che si posiziona alle falde, molto prossime, del Gran Sasso. 

Questo primo gioco ottico ci consegna subito una costante della conca aquilana, dove il massiccio montuoso gioca la sua predominanza e dona un significato particolare, nel rapporto segnico-spaziale, a tutto ciò che lo circonda. L'impressione che si riceve, sotto la regia di un tale denominatore/dominatore comune, va a rafforzare la funzione antica della villa, cioè quel rapporto segnicamente forte sui possedimenti terrieri dei Dragonetti De Torres nel territorio preurbano.

6.- San Gimignano è incantevole anche sotto la pioggia, quando i suoi vicoli si riempiono di un fiume disordinato di ombrelli colorati

san-gimignano1-620x462San Gimignanoè incantevole anche sotto la pioggia, quando i suoi vicoli si riempiono di un fiume disordinato di ombrelli colorati. Quando il cielo prende il colore della pietra con la quale sono costruiti i palazzi, ma viene movimentato dalle variopinte bandiere delle sue contrade. Quando una certa bruma la avvolge, donandole quel fascino misterioso e schivo capace di trasportarti indietro nei secoli fino all’epoca medioevale. Quella delle lotta per le investiture, tra Guelfi e Ghibellini, qui rappresentati dagli Ardinghelli e dai Salvucci, quella delle botteghe e dei mercanti, quella delle famiglie benestanti che per ostentare al mondo il proprio potere economico e sociale ordinavano la costruzione di una torre. E se una avesse mai prevalso su un’altra, la rispettiva torre veniva rasa al suolo in segno di sconfitta.

7.- Capraia è un’isola di cui ci si innamora appena vi si poggiano gli occhi e si può iniziare a sognare.

capraia-03-620x462I greci la chiamarono Aigylion, poi i Romani Capraria, per la presenza di capre selvatiche, si dice, o per la sua roccia (Karpa) di origine vulcanica. Isola selvaggia, dove uomo e natura convivono in un equilibrio da copiare. Non è un’isola turistica, la stagione apre in primavera con il ‘Walking Festival’ e chiude a Novembre con la tradizionale ‘Sagra del Totano di Capraia’. In questi 5 mesi, tra un evento e l’altro, c’è da visitare. Escursioni a piedi, per i camminatori: un percorso ad anello di 10 km (impegnativo) che porta a Lo Stagnone, dove grazie a un microclima particolare diventa oasi naturale per molte specie di uccelli che vivono nell’isola.  L’occhio si perde tra le meraviglie della natura; mirto, elicriso, lentisco e rosmarino selvatico circondano i sentieri, macchia mediterranea su roccia vulcanica, quindi, niente ombra, niente alberi. Qualche muflone, qualche serpentello innocuo, nei pressi dello stagno. E poi mare. Mare di quel blu che sembra disegnato. Di quel blu che non è cielo, non è acqua, ma è mare, mare di Capraia.

8.- Escursioni di un giorno nell’area turistica Gran Paradiso: Jovençan - Col de Vertosan.

Cartina del percorsoDescrizione del percorso:

Raggiunta la località di Jovençan, nel comune di Avise, proseguire sulla strada poderale e, dopo aver superato l‘Alpe Tronchey, raggiungere l‘imbocco del sentiero n° 30 indicato in loco dalla segnaletica verticale. Risalendo il versante, tra pascoli alpini e falde detritiche, si supera l‘alpeggio di Méanaz e si raggiunge il Col di Vertosan.

Periodo Consigliato: 1 Luglio - 30 Settembre Difficoltà:
E – Escursionistico Partenza: Jovençan (1868 mt.) Arrivo: Col de Vertosan (2698 mt.)   Dislivello:  830 m

 

9.- Escursioni di un giorno nell’area turistica Gran Paradiso: Jovençan - Col de Citrin.

Gran Paradiso Jovençan - Col de Citrin

Descrizione del percorso:

Raggiunta la località di Jovençan, nel comune di Avise, proseguire sulla strada poderale fino a raggiungere, all‘altezza del tornante prima della località Rovine, l‘imbocco del sentiero n° 10 sulla destra della strada, indicato in loco dalla segnaletica verticale.

Risalendo la valle, tra pascoli alpini e falde detritiche, si giunge all‘alpe Sorace. Da qui seguendo il ramo di destra, con stessa numerazione, si perviene infine al Col de Flassin.

Periodo Consigliato: 1 Giugno - 30 Settembre  Difficoltà:  E – Escursionistico  Partenza:  Jovençan (1855 mt.)

 

10.- Escursioni di un giorno nell’area turistica Gran Paradiso: La Ravoire–Lolair.

Gran Paradiso La Ravoire–Lolair

Descrizione del percorso:

Dal parcheggio a lato della strada regionale, all‘imbocco della Valgrisenche in loc. La Ravoire salire la stradina n.3 ad attraversare il centro abitato, per uscire su una pista erbosa e trascurare la diramazione a destra per Rochefort. Si raggiunge una poderale, da abbandonare per la mulattiera a sinistra che ripida incrocia la strada tra muretti e cespugli e, in seguito, vi finisce dentro all‘altezza di un tornante a sinistra. Continuare in salita e riprendere l‘antica via a destra, prima di un muro di contenimento, nel bosco misto di frassino, sorbo montano pino silvestre e roverella.  Un ultimo attraversamento e si giunge ad un bivio, alla base di un pronunciato roccione. Si va a sinistra su un percorso lastricato, poi tra terrazzamenti incolti sino alla sterrata che seguiamo a sinistra sino al termine, nelle vicinanze di un oratorio. Tralasciare la mulattiera a destra e, dopo le belle case in pietra, attraversare l‘ameno pianoro sino a giungere al laghetto di Lolair, circondato da un canneto.

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Riserva Naturale Monterano, uno degli angoli più rappresentativi ed intatti della Tuscia Romana (1a parte).

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La Riserva Naturale Monterano, istituita nel 1988, tutela uno degli angoli più rappresentativi ed intatti della Tuscia Romana, tra i Monti della Tolfa e i Monti Sabatini, tutelati da un’altra area protetta.

La Riserva Naturale, oggi meta di migliaia di visitatori provenienti da tutta Italia e dall’Europa (attratti dai suoi paesaggi naturali e dalle rovine dell’antica Monterano in cui sono stati ambientati decine di film), dopo un ampliamento dei suoi confini nel 1993, copre oggi poco più di 1.000 ettari di terreno, che custodiscono una grande varietà di ambienti ed una esuberante biodiversità.

Boschi collinari, forre vulcaniche con vegetazione tipica e felci rarissime, prato-pascoli con la loro tipica flora e fauna; il tutto attraversato da un corso d’acqua, il Fiume Mignone, incluso nei Siti di Interesse Comunitario che costituiscono patrimonio dell’intera Unione Europea nell’ambito della Rete Natura 2000.

riserva naturale monterano

Di grande interesse storico-archeologico, ma anche fonte di continue suggestioni panoramiche, la città “morta” di Monterano, con il suo palazzo ducale, l’acquedotto su ardite arcate, la splendida fontana berniniana del leone, il Convento di S. Bonaventura e il tessuto di edifici minori che spesso affondano le loro radici su antiche preesistenze etrusche. Oggi questo ricco patrimonio culturale, grazie alla presenza dell’area protetta, è oggetto di accurati restauri conservativi che contrastano l’incessante opera demolitrice del tempo.

Visitare la Riserva Naturale Monterano significa immergersi in un viaggio nel tempo: tempo dell’uomo con le sue vicende antiche di oltre 3.000 anni, ma anche i tempi molto più lunghi della Natura, che ha modellato questo paesaggio straordinario. Una visita che va fatta prendendosi il tempo dovuto, con calma, soffermandosi sugli spettacolari paesaggi ma anche su piccoli particolari: il volo di una libellula sull’acqua, il gorgogliare di una polla di acqua sulfurea nascosta nella vegetazione, il passaggio furtivo di un picchio o la ricerca, osservando il cielo soprattutto dopo il levarsi del vento, dei grandi rapaci in volo.

Prendetevi anche un momento per uno scambio di impressioni con uno dei tanti anziani di Canale che saranno ben lieti di rievocare fatti e vicende svoltesi in quel territorio a cui sentono, in modo così forte, di appartenere.

Il territorio monteranese si inserisce nel quadro geologico della più vasta regione tolfetano-sabatina, della quale custodisce aspetti rappresentativi. Sui sedimenti calcarei che formano la "base" della serie geologica locale, non affioranti nel territorio monteranese, si sovrappongono i ben noti "flysch" tolfetani. Si tratta di strati sovrapposti di marne (rocce a metà strada tra calcare ed argilla), argilliti (argille trasformate in roccia), arenarie (sabbie trasformate in roccia) e calcari, originatisi tra il Cretaceo ed il Paleogene (quindi tra 90 e 60 milioni di anni fa) nell’ambito dell’antico oceano Tetide.

Questi sedimenti sono poi stati "trasportati" a grande distanza dal luogo di sedimentazione, come dimostra il notevole stato di "disturbo" degli strati rocciosi (in origine orizzontali, oggi intensamente piegati e fratturati). Queste rocce di origine marina sono diffuse nel settore settentrionale ed occidentale della Riserva Naturale (zone della Bandita, Monte Angiano, Monte Ciriano). Al periodo Plio-pleistocenico (tra 5 e 1 milione di anni fa) risalgono sedimenti, anch’essi di origine marina costituiti da argille, argille sabbiose con frequente presenza di lenti e cristalli isolati di gesso, presenti in alcuni limitati settori della riserva (zona di Poggio li Cioccati). I terreni marini sopra descritti nella zona orientale dell’area protetta sono coperti da terreni vulcanici prodotti dall’antico apparato sabatino (zona di Bracciano).

riserva naturale monterano1

Tra questi i cosiddetti "peperini listati" affioranti lungo la valle del Mignone, il Fosso della Palombara e la Valle del Bicione (formati da eruzioni circa 700.000 anni fa), tufi ("Tufo di Bracciano", "Tufo Rosso a scorie nere", visibile nella zona della Greppa dei Falchi), colate laviche come quella visibile presso il casale della Palombara. Le diverse rocce hanno dato luogo a varie forme di paesaggio: ondulazioni collinari con valli fluviali ampie, con versanti a declivio dolce dove sono presenti rocce sedimentarie; valli strette con pareti verticali, dove affiorano tufi e peperini. Numerose le aree interessate da ricerche minerarie (zolfo, manganese) e le emissioni di acque mineralizzate.

Le Rocce Sedimentarie.

Il paesaggio vulcanico e sedimentario che costituisce il comprensorio Tolfetano è modellato dal corso del Fiume Mignone e dei suoi affluenti. Il Mignone, nel suo tratto di media valle, attraversa la Riserva naturale Monterano per circa 8 Km, segnando abbastanza nettamente il confine tra il settore con rocce sedimentarie, sulla sua destra idrografica, e quello vulcanico, in sinistra. Le rocce sedimentarie sono quelle originate da processi erosivi e di disgregazione di rocce preesistenti ad opera del mare, dei corsi d’acqua, del ghiaccio, del vento o dalla successiva deposizione e consolidamento dei detriti, quasi sempre dopo una fase di trasporto da parte degli stessi agenti che abbiamo citato. I terreni di origine sedimentaria sono qui costituiti da “Unità alloctone” cioè da intere formazioni rocciose, spesse centinaia e centinaia di metri, originatesi molto lontano, sul fondo di antichi mari o in ambienti costieri, e “trasportate” per centinaia di chilometri da quelle forze interne al nostro Pianeta che hanno spostato interi continenti, innalzato catene montuose e creato nuovi mari. La più importante di queste formazioni è quella dei "Flysch tolfetani”. Questo strano nome di origine svizzero-tedesca indica rocce originate da enormi frane sottomarine createsi nell’intervallo tra il Cretaceo ed il Paleogene, cioè tra 65 e 23 milioni di anni fa. All’interno di questa formazione troviamo serie di rocce quali gli argilloscisti varicolori (Cretacico medio), costituiti da argille scistose (cioè formate da tanti “foglietti” di roccia argillosa sovrapposti) e la ben più dura e compatta Pietraforte (Cretaceo Superiore - Paleocene).

L’ambiente in cui si sono formati era quello di un mare temperato-caldo, non molto profondo e non lontano dalla costa e dalle foci di fiumi che trasportavano enormi quantità di sedimenti che, periodicamente, davano origine a gigantesche frane sottomarine. Il vero e proprio flysch argilloso - calcareo (Cretaceo superiore - Paleocene), costituito da argille e calcari marnosi (sono rocce calcaree “sporche” per la presenza di una cospicua componente di argilla), costituisce gran parte degli affioramenti sedimentari all’interno del territorio della Riserva Naturale (zone della Bandita, Monte Angiano, Monte Ciriano). Interessante la presenza di pietra paesina, una roccia assai decorativa formata da tante piccole fratture e settori di forma geometrica con diversa colorazione dovuta alla presenza di ossidi. Più limitati i settori con rocce argillose più recenti, formatesi sul fondo del mare pochi milioni di anni fa (ma rimaste sul posto, senza grandi spostamenti come avvenuto per i fondi dei mari più antichi), quando le uniche zone emerse di questo settore del futuro Lazio costiero era costituito da una serie di isolotti vulcanici. Oggi i rilievi dei Monti della Tolfa, di Monte Calvario, che svetta per 545 m s.l.m. sull’abitato di Canale Monterano, dei Monti Ceriti ci ricordano le isole sparse sull’antico mare, soprattutto quando, qualche giorno all’anno, in autunno, emergono dalla fitta nebbia di fondovalle.

Le rocce sedimentarie sono ricche, in questo territorio, di argille e ciò le rende assai impermeabili: l’acqua non riesce ad infiltrarsi ed il sottosuolo è quasi privo di falde idriche. Le colline di origine sedimentaria sono quelle più soggette all’erosione, soprattutto dove manca il bosco o dove il pascolo è eccessivo: i valori di trasporto solido (cioè la quantità di detrito che viene trasportata dai corsi d’acqua) registrati evidenziano un indice di erosione elevato, quantificato in 682 tonnellate/Kmq/anno di terreno eroso e trasportato a mare. La forma di paesaggio che deriva da queste rocce e dall’intensa erosione cui sono sottoposte è caratterizzata da colline dai versanti “dolci”, poco inclinati e valli molto aperte. Da qui l’importanza di assicurare la protezione dei boschi e delle aree cespugliate, queste ultime essenziali per la tutela del suolo e la rinnovazione del bosco, e la corretta gestione dei pascoli, dove il numero dei capi non deve superare la capacità di carico, cioè la quantità di capi che quel terreno, come produttore di alimento può sopportare in un dato periodo senza subire degrado della copertura vegetale e, quindi, erosione.

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Riserva Naturale Monterano, uno degli angoli più rappresentativi ed intatti della Tuscia Romana (2a parte).

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Le Rocce Vulcaniche.

I terreni sedimentari di cui abbiamo parlato, in ampi tratti del comprensorio Sabatino-Tolfetano sono coperti da rocce vulcaniche appartenenti a due fasi eruttive differenti che danno luogo ad una forma di paesaggio dai toni “drammatici”, completamente diversa dalle dolci colline sedimentarie. E proprio da questi contrasti nasce la grande bellezza di questa Riserva Naturale.

Una prima fase corrisponde alla formazione dai rilievi vulcanici a forma di “cupole”, costituiti da lave dure e compatte, che rientrano nel quadro di attività legate al vulcanismo Tolfetano - Cerite - Manziate di età Plio - Pleistocenica inferiore (tra 4 e 2 milioni di anni fa) e che costituivano proprio gli isolotti di cui parlavamo pocanzi.
Successivamente, dopo un lungo periodo di relativa calma, si è verificato un grande risveglio della attività vulcanica con la formazione dell’apparato Vicano a nord (zona di Vico-Cimini) e dell’apparato Sabatino a sud (zona tra Campagnano e Bracciano), a partire da 700.000 anni fa.

Riserva_Naturale_di_Monterano

A differenza del Vulcano Vicano, un classico vulcano con cono principale centrale, quello Sabatino era costituito da numerosi centri eruttivi disposti in genere secondo linee corrispondenti a fratture della crosta terrestre da cui fuoriuscivano magma, vapore d’acqua, gas.

Rocce come i "Peperini listati" affioranti lungo la valle del Mignone, il Fosso della Palombara e la Valle del Bicione, vennero originati da spaventose eruzioni di “nubi ardenti” o ignimbriti (il termine deriva dal latino e significa “pioggia di fuoco”), uno dei più spaventosi e distruttivi fenomeni della natura, costituito dalla fuoriuscita di una miscela ardente (oltre 800°C) di gas, vapor d’acqua, roccia fusa e massi incandescenti che poteva raggiungere una velocità di 250 Km/ora (a seconda della pendenza dei versanti), distruggendo tutto sul suo cammino. Al termine del fenomeno si aveva un tappeto (una “coltre”, in linguaggio geologico) di ceneri incandescenti che gradualmente si raffreddavano ed indurivano. Un fenomeno simile è stato riconosciuto dai geologi nella spaventosa distruzione della Città di St. Pierre, nella Martinica (Caraibi francesi), avvenuta nel 1902.

riserva-naturale-monterano

In sponda sinistra idrografica del Fiume Mignone affiorano in prevalenza rocce riferibili a colate laviche che hanno originato rocce dure e compatte, come i "Peperini listati" o il "Tufo rosso a scorie nere", quest’ultimo molto poroso e ricco di pomici nere o da banchi più teneri, pozzolanacei.

Vale la pena di ricordare il diffuso impiego delle rocce laviche dalle elevatissime qualità meccaniche sin dall’antichità per la realizzazione di manufatti particolarmente esposti ad azioni meccaniche prolungate o intense: è il caso dei "basoli" delle grandi opere viarie romane, dei più recenti acciottolati di “sanpietrini” e dei conci per la costruzione di opere di fortificazione, come il Castello Orsini di Bracciano.

Per la facile lavorabilità e le discrete qualità meccaniche i tufi sono stati molto utilizzati come materiali da costruzione (anche ricavandovi tombe o edifici sul posto, come nel caso delle sepolture etrusche) sin dall’antichità.

Nell’area della Riserva Naturale lungo la valle del Mignone, il fosso della Palombara e la valle del Bicione, le rocce vulcaniche sono profondamente alterate dall’azione dei solfuri e solfati originati dalla presenza di gas circolanti nel sottosuolo.

E’ soprattutto in corrispondenza delle zone maggiormente fratturate che si manifestano in superficie sorgenti e venute gassose di C02 e H2S a temperature più elevate della media locale; a queste acque si deve la genesi delle caratteristiche “Solfatare” dove talvolta gorgogliano acque color bianco latte e dove si può osservare la mineralizzazione per incrostazione delle rocce o di materiale organico e la presenza di ristagni con acque ferruginose (come quella del Fosso Rafanello, ancor oggi utilizzata dai locali) dove domina l’intensa colorazione rossastra dovuta alla forte mineralizzazione del sito.

Le rocce, soprattutto dove sono a contatto con acque mineralizzate e calde sono sottoposte ad un intenso processo di mineralizzazione: è questa l’origine della ricchezza di minerali del territorio Monteranese, estratti nel corso dei secoli, dalle miniere settecentesche di zolfo (la più importante è stata sicuramente la Miniera di zolfo del Fosso del Lupo o del Biscione di proprietà della famiglia Altieri che nel 1860 produceva 250 t di minerale) a quelle del manganese degli anni ‘30 per arrivare ai “saggi” per ricerche uranifere degli anni ‘60.

riserva-naturale-monterano fiume

Le rocce vulcaniche sono abbastanza permeabili e l’acqua riesce a raggiungere il sottosuolo e formare falde idriche abbastanza ricche e sfruttate da pozzi, spesso eroganti acque minerali.

Il piccolo altopiano tufaceo o “acrocoro” su cui sorge l’abitato di Monterano (vedi oltre) come quello dall’altra parte della valle del Fiume Bicione, costituito dalla sovrapposizione di diverse rocce vulcaniche (peperini listati del Mignone, Tufo rosso a scorie nere, frutti di diversi episodi eruttivi), è quello che resta dell’antica copertura di rocce vulcaniche, pressoché piatta (“tabulare”), che si formò alla fine delle emissioni di ceneri ed ignimbriti.

Il duro bancone vulcanico, inciso per millenni dai corsi d’acqua che hanno formato le valli strette ed incassate note come “forre” (uno degli ecosistemi più importanti dall’area protetta e del comprensorio), è interessato da fessurazioni che attraversano la massa rocciosa in tutti i sensi e si sta sfaldando per la progressiva separazione delle pareti in massi di diverse dimensioni.

Queste forme di paesaggio, note nel Viterbese come “castelline” perché somigliano ad abitati fortificati, sono tra le più effimere nel panorama geologico laziale e sono destinate a scomparire entro tempi geologicamente molto prossimi. Un masso rotola a valle e ci fa pensare al continuo divenire della Natura, al progressivo trasformarsi di questa nostra Terra.

Flora e Vegetazione.

riserva-naturale-monterano fiore

Anche a Monterano c’è un antico albero che forse non veniva adorato ma certamente costituiva il luogo dove si svolgevano importanti momenti di incontro della collettività, soprattutto durante il lavoro dei campi: si tratta della maestosa Quercia della Lega, che ha anche una compagna appena un poco più piccola ma altrettanto maestosa.

Il paesaggio vegetale della Riserva Naturale è assai ricco e variato, grazie agli effetti del clima locale; in particolare l’afflusso continuo di umidità dal mare abbassa i limiti altimetrici della vegetazione (cioè si trovano a quote più basse piante che dovrebbero stare in zone collinari più elevate o addirittura montane, come il faggio): questo insieme di fattori viene definito dai botanici come “effetto colchico”. Importante anche il peso delle caratteristiche microclimatiche, cioè al clima di singoli, limitati ambienti quali le forre, sul fondo delle quali, anche nelle estati più secche, troviamo aria fresca e un certo tasso di umidità grazie alla ricchezza di acqua, alla bassa insolazione e alla protezione dai venti. Per tutti questi motivi la Riserva naturale ospita, a stretto contatto, specie di ambiente appenninico quali il faggio e specie di ambito strettamente mediterraneo, come il leccio, specie di areale balcanico come il bagolaro e specie “africane”, come la tamerice.

Fauna.

La Riserva Naturale ospita una fauna ricca e varia che comprende ben 24 specie inserite nelle Liste Rosse (Libro Rosso degli animali d’Italia), nonché negli elenchi di interesse comunitario; essa ospita il 31% della fauna italiana e ben il 56% di quella laziale.

Complessivamente sono state censite 142 specie di vertebrati, con 24 specie inserite nella Lista Rossa (il 19% del totale), un valore assai elevato per un territorio di dimensioni limitate, a conferma della varietà degli habitat presenti e del loro buono stato di conservazione.

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Vita dal sapore mediterraneo e un paesaggio indimenticabile, questo è Caldaro.

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Vita dal sapore mediterraneo e un paesaggio indimenticabile, questo è Caldaro. Distese di vigneti a perdita d'occhio. Cipressi, piante d'alloro e ulivi fanno parte del paesaggio. Edifici storici, costruiti nello stile tipico dell'Oltradige e appartenuti alle ricche famiglie della zona, costituiscono il fiore all'occhiello del paese.

E poi c'è il Lago di Caldaro, il più caldo dei laghi della zona alpina, che è una meta molto amata da aprile a ottobre.

"wein.kaltern"è l'associazione che raggruppa i viticoltori della zona e che ha lo scopo di controllare la qualità dei vini prodotti. Rigide regole che vanno dall'impianto fino all'immagazzinamento ed alla conservazione, sono garanzia di qualità superiore.
Informazioni turistiche.
Associazione Turistica Caldaro-Raiffeisen
Piazza Principale 8
39052 Caldaro
Tel. 0471 963 169
Fax 0471 963 469
info@kaltern.com
www.kaltern.com
Percorsi enologici lungo la Strada del Vino
Percorrendo i sentieri enologici è possibile seguire individualmente o in compagnia di una guida tutte le fasi di produzione del vino dalla coltivazione della vite alla degustazione.
Di seguito un elenco dei percorsi e dei sentieri didattici lungo la Strada del Vino dell'Alto Adige:  
Percorso naturalistico di Cornaiano-Appiano. 
Natur- und Weinlehrpfad am "Hohen Weg"
Imparare passeggiando 15 cartelli informativi collocati lungo il sentiero introducono alla coltivazione della vite, al lavoro nelle vigne e alla cultura enologica sensibilizzando sull'importanza della cura della vite. Tempo di percorrenza: ca. 40 min. Info: Associazione Turistica Appiano, tel. 0471 662 206, info@eppan.com Percorso didattico sul vino di CortacciaKurtatscher Weinlehrpfad Un'esperienza olfattiva alla scoperta dei nostri vini Partendo dal centro del paese, si segue il cartello in legno che segnala l'inizio del sentiero didattico con l'indicazione "Saltner Pratze". Il percorso si snoda per circa 1,5 km attraverso una plaga viticola che passa in rassegna tutte le specialità tipiche locali e introduce ai diversi sistemi di coltivazione.

Anfore di terracotta contenenti le varie specialità enologiche invitano a cimentarsi in un "esame olfattivo" per imparare a riconoscere il bouquet dei vini. Tempo di percorrenza: ca. 50 minuti fino a Niclara, ca. 1 ora e 40 minuti fino a Magrè. Visita guidata con degustazione: ogni mercoledì alle 14, ca. 4 ore. Info e iscrizione: Associazione Bassa Atesina, tel. 0471 880 100, info@suedtiroler-unterland.it Sentiero enologico di Terlano
Terlaner WeinwegConoscere la storia e la cultura enologica di Terlano 

Partendo dalla Cantina di Terlano si seguono le indicazioni lungo il percorso che si snoda per circa ca. 3,5 km attraverso una plaga sulle alture che circondano Terlano. 20 cartelli informano sulla storia e la cultura enologica locale. E' disponibile un depliant sul sentiero. Tempo di percorrenza: ca. 1 ora e 30 minuti. Info: Associazione Turistica Terlano, tel. 0471 257 165, info@terlan.info Il "Sentiero del vino" di CaldaroWein.Weg in Kaltern

Attraverso i vigneti fino al Lago di Caldaro Attraverso plaghe e cantine vinicole, il Sentiero del Vino conduce al Lago di Caldaro snodandosi a forma di "otto" con il punto di intersezione in corrispondenza di Piazza Principale.

Le plaghe viticole sono evidenziate da inserti in metallo nel manto stradale. Il Sentiero del Vino serve da bussola di orientamento alla scoperta del territorio. Un'apposita cartina segna il percorso e i quattro punti di sosta panoramici con tavoli e panchine. Tempo di percorrenza: ca. 1 ora fino al lago di Caldaro, ca. 1 ora fino a Planizza di Sopra. Visite guidate con degustazione: in primavera e in estate ogni mercoledì alle 16.30, ca. 1 - 1 ora e 30 minuti. Info: wein.kaltern, tel. 0471 965 410, info@wein.kaltern.com
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Una Gita Fuori Porta: i 10 post più cliccati nel mese di Novembre 2013.

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Chi per colpa della crisi deve rinunciare alle vacanze, può comunque regalarsi un week-end o almeno una giornata di relax. 

Che sia alle terme, in un centro benessere, in montagna e persino in città, ecco dieci idee per fare una gita di benessere senza allontanarsi troppo da casa e coinvolgendo tutta la famiglia.
La selezione effettuata dai nostri lettori nel mese di Novembre 2013.

Si tratta di gite a parchi naturali, facili escursioni in montagna, sciatine per principianti fatte perlopiu' in giornata, insomma piccole avventure mediamente poco faticose, alla portata di tutti.

1.-Vita dal sapore mediterraneo e un paesaggio indimenticabile, questo è Caldaro.
Vita dal sapore mediterraneo e un paesaggio indimenticabile, questo è Caldaro. Distese di vigneti a perdita d'occhio. Cipressi, piante d'alloro e ulivi fanno parte del paesaggio. Edifici storici, costruiti nello stile tipico dell'Oltradige e appartenuti alle ricche famiglie della zona, costituiscono il fiore all'occhiello del paese. E poi c'è il Lago di Caldaro, il più caldo dei laghi della zona alpina, che è una meta molto amata da aprile a ottobre. "wein.kaltern"è l'associazione che raggruppa i viticoltori della zona e che ha lo scopo di controllare la qualità dei vini prodotti. Rigide regole che vanno dall'impianto fino all'immagazzinamento ed alla conservazione, sono garanzia di qualità superiore.

Riserva_Naturale_di_Monterano
Le Rocce Vulcaniche.
I terreni sedimentari di cui abbiamo parlato, in ampi tratti del comprensorio Sabatino-Tolfetano sono coperti da rocce vulcaniche appartenenti a due fasi eruttive differenti che danno luogo ad una forma di paesaggio dai toni “drammatici”, completamente diversa dalle dolci colline sedimentarie. E proprio da questi contrasti nasce la grande bellezza di questa Riserva Naturale. Una prima fase corrisponde alla formazione dai rilievi vulcanici a forma di “cupole”, costituiti da lave dure e compatte, che rientrano nel quadro di attività legate al vulcanismo Tolfetano - Cerite - Manziate di età Plio - Pleistocenica inferiore (tra 4 e 2 milioni di anni fa) e che costituivano proprio gli isolotti di cui parlavamo pocanzi.
Successivamente, dopo un lungo periodo di relativa calma, si è verificato un grande risveglio della attività vulcanica con la formazione dell’apparato Vicano a nord (zona di Vico-Cimini) e dell’apparato Sabatino a sud (zona tra Campagnano e Bracciano), a partire da 700.000 anni fa.


riserva naturale monterano
La Riserva Naturale Monterano, istituita nel 1988, tutela uno degli angoli più rappresentativi ed intatti della Tuscia Romana, tra i Monti della Tolfa e i Monti Sabatini, tutelati da un’altra area protetta.La Riserva Naturale, oggi meta di migliaia di visitatori provenienti da tutta Italia e dall’Europa (attratti dai suoi paesaggi naturali e dalle rovine dell’antica Monterano in cui sono stati ambientati decine di film), dopo un ampliamento dei suoi confini nel 1993, copre oggi poco più di 1.000 ettari di terreno, che custodiscono una grande varietà di ambienti ed una esuberante biodiversità.Boschi collinari, forre vulcaniche con vegetazione tipica e felci rarissime, prato-pascoli con la loro tipica flora e fauna; il tutto attraversato da un corso d’acqua, il Fiume Mignone, incluso nei Siti di Interesse Comunitario che costituiscono patrimonio dell’intera Unione Europea nell’ambito della Rete Natura 2000.


Altamura stradinaChi per colpa della crisi deve rinunciare alle vacanze, può comunque regalarsi un week-end o almeno una giornata di relax.
Che sia alle terme, in un centro benessere, in montagna e persino in città, ecco dieci idee per fare una gita di benessere senza allontanarsi troppo da casa e coinvolgendo tutta la famiglia.
La selezione effettuata dai nostri lettori nel mese di Settembre 2013.
Si tratta di gite a parchi naturali, facili escursioni in montagna, sciatine per principianti fatte perlopiu' in giornata, insomma piccole avventure mediamente poco faticose, alla portata di tutti.
Itinerari pugliesi: Altamura città fiera e ribelle, bella e nobile per la sua storia e cultura.
La chiamano la Leonessa di Puglia: stiamo parlando di Altamura, città fiera e ribelle, bella e nobile per la sua storia e cultura. Siamo a poco più di 40 km. da Bari e a 19 km. da Matera, quasi al confine della Puglia con la Basilicata. Questa è Altamura, città di storia e dal passato illustre. Il nome ricorda la mitica regina Altea, e nel passato prese anche il nome di Altilia, fiorente città

5.- San Gimignano è incantevole anche sotto la pioggia, quando i suoi vicoli si riempiono di un fiume disordinato di ombrelli colorati
san-gimignano1-620x462San Gimignanoè incantevole anche sotto la pioggia, quando i suoi vicoli si riempiono di un fiume disordinato di ombrelli colorati. Quando il cielo prende il colore della pietra con la quale sono costruiti i palazzi, ma viene movimentato dalle variopinte bandiere delle sue contrade. Quando una certa bruma la avvolge, donandole quel fascino misterioso e schivo capace di trasportarti indietro nei secoli fino all’epoca medioevale. Quella delle lotta per le investiture, tra Guelfi e Ghibellini, qui rappresentati dagli Ardinghelli e dai Salvucci, quella delle botteghe e dei mercanti, quella delle famiglie benestanti che per ostentare al mondo il proprio potere economico e sociale ordinavano la costruzione di una torre. E se una avesse mai prevalso su un’altra, la rispettiva torre veniva rasa al suolo in segno di sconfitta.

Chiesa_di_Santa_Maria_di_Ronzano1
Santa Maria di Ronzanoé una delle più belle testimonianze  storico-culturali che offre la provincia teramana. Risalendo la Vallata del Vomano, da Roseto degli Abruzzi verso il Gran Sasso, si scopre l'Abbazia che troneggia imponente e ben conservata in mezzo alla campagna circostante l'abitato del comune di Castel Castagna, sulla sponda destra del Mavone. La Chiesa, edificata nel 1171, é una meravigliosa combinazione di natura e di arte, con la sua facciata absidale e le celle campanarie dietro cui svetta il Corno Grande.E' uno scenario incantevole: siamo nel bel mezzo della Valle Siciliana dai greci chiamata la “Valle dei fichi e degli olivi”dove più di tremila anni fa vi abitavano i siculi, come riferisce lo storico Tucidide. 

castello de cesaris
Quando il padre le donò l’antico e malandato fabbricato, noto a Spoltore come “il castello”, la signora Luciana De Cesaris era una giovane donna che svolgeva a Roma l’attività di arredatrice e lì coltivava i suoi interessi.All’improvviso si ritrovò proprietaria del grande edificio che negli anni della sua infanzia aveva ospitato, oltre alla scuola e ad alcune botteghe di artigiani, anche la caserma dei carabinieri con le oscure prigioni, dove ancora ricorda di aver visto rinchiudere un ladro.La famiglia De Cesaris lo aveva acquistato nel 1935 da un ricco possidente di Spoltore insieme ad alcuni terreni ma non si era mai interessata troppo alla cadente costruzione da tempo data in affitto ai carabinieri. Anzi quando questi ultimi la abbandonarono considerandola inagibile, ci fu un tentativo, non riuscito, di venderla al Comune, che già possedeva un terzo dell’intero fabbricato.

villa-dragonetti-de-torres7_thumb[2]Gli interni abruzzesi della villa Dragonetti De Torres a Paganica (2a parte).
Qui la decorazione parietale ad affresco viene intervallata, in entrambi i lati, da nicchie che accolgono una serie di busti marmorei di epoca romana, reperti provenienti dal mercato antiquario da cui i Dragonetti attinsero e che contribuì ad arricchire l'ordine decorativo della villa.  Da questo stesso mercato è sicura la provenienza anche delle realizzazioni, di cui si trova traccia sul frontale principale, dei copisti dell'ottocento. Opere che riproducevano tipologie standard di sculture a rilievo desunte dalla produzione antica. Siano essi fregi o medaglioni ma, comunque, adatti a scandire, con la loro ritmia di posizione, le aperture di luce del piano nobile. Se queste aggiunte antiquarie per quel che riguarda l'architettura della villa -ancora immersa nel settecento- sono un'anticipazione dello stile neoclassico, quest'ultimo trova maggiore unitarietà ed espressività,

9.- Capraia è un’isola di cui ci si innamora appena vi si poggiano gli occhi e si può iniziare a sognare.


capraia-03-620x462I greci la chiamarono Aigylion, poi i Romani Capraria, per la presenza di capre selvatiche, si dice, o per la sua roccia (Karpa) di origine vulcanica. Isola selvaggia, dove uomo e natura convivono in un equilibrio da copiare. Non è un’isola turistica, la stagione apre in primavera con il ‘Walking Festival’ e chiude a Novembre con la tradizionale ‘Sagra del Totano di Capraia’. In questi 5 mesi, tra un evento e l’altro, c’è da visitare. Escursioni a piedi, per i camminatori: un percorso ad anello di 10 km (impegnativo) che porta a Lo Stagnone, dove grazie a un microclima particolare diventa oasi naturale per molte specie di uccelli che vivono nell’isola.  L’occhio si perde tra le meraviglie della natura; mirto, elicriso, lentisco e rosmarino selvatico circondano i sentieri, macchia mediterranea su roccia vulcanica, quindi, niente ombra, niente alberi. Qualche muflone, qualche serpentello innocuo, nei pressi dello stagno. E poi mare. Mare di quel blu che sembra disegnato. Di quel blu che non è cielo, non è acqua, ma è mare, mare di Capraia.

villa-dragonetti-de-torres
L’incontro con la villa Dragonetti De Torres a Paganica, per chi vi é stato  sospinto dal suo richiamo, è improvviso. La prospettiva della facciata si mostra nella sua interezza subito dopo una doppia curva, che sfiora e subito abbandona il centro cittadino e costringe lo sguardo verso un punto di fuga che si posiziona alle falde, molto prossime, del Gran Sasso. 
Questo primo gioco ottico ci consegna subito una costante della conca aquilana, dove il massiccio montuoso gioca la sua predominanza e dona un significato particolare, nel rapporto segnico-spaziale, a tutto ciò che lo circonda. L'impressione che si riceve, sotto la regia di un tale denominatore/dominatore comune, va a rafforzare la funzione antica della villa, cioè quel rapporto segnicamente forte sui possedimenti terrieri dei Dragonetti De Torres nel territorio preurbano.


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Offida una città che respira di una grandezza che pare appena passata.

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Offida, l’accento va sulla “i” come “vino”. Lo capisci sporgendoti dal parapetto dietro l’abside della chiesa millenaria di Santa Maria della Rocca, che questo è un luogo di-vino: la santità delle penombre di questo monolite della spiritualità, appena traforato da piccoli portici nani, graziosamente minimi, e la leggerezza delle vigne aggrappate ai pendii, là sotto. Il dirupo scende bianco e verticale, una parete calcarea sulla quale percola la luce mielata del pomeriggio offidano.

Una città che respira di una grandezza che pare appena passata: la popolazione attuale è poco più della metà di quella degli anni cinquanta. Ne resta la gloria, nell’immensa piazza in cui si specchia il Palazzo Comunale, un’antifona delle città di mattoni della Toscana interna. 
Nel silenzio paludato delle strade del centro solo con qualche sforzo riesci a sentire gli strepiti dei ferri e le urla dei feriti che da queste parti erano quotidiane al tempo delle guerre: Ascoli contro Fermo, Guelfi contro Ghibellini si scannavano come vitelli dimentichi delle meraviglie attorno. Un bicchiere di garrulo Pecorino – il bianco DOC di Offida – o di polpacciuto Rosso Piceno per comporre qualsiasi diatriba, magari alle tavole generose di questi luoghi.
Fermarsi sull’angolo di un crocicchio e ascoltare; fermi i rumori dei passi, ecco gorgogliare un ticchiettio frenetico, uno scampanellio di legni: allunghi il collo e vedi le donne sulle sedie, davanti le porte dei negozi: con dita agili e movimenti esattissimi muovono i fili dei ricami al tombolo, una specialità locale che ricordavi fin dai tempi delle scuole elementari. RIcordi? le fisarmoniche di Castelfidardo, le acciaierie di Terni, e i ricami al tombolo di Offida. Cose da un centimetro al giorno, e ne vedi lenzuolate.
Mentre volti le spalle ai reperti di mura, avanzi del tempo dei tempi, alzi gli occhi: Piazza delle Merlettaie. Ogni cosa torna al suo posto.

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Una Gita Fuori Porta: i 10 post più cliccati nel mese di Dicembre 2013.

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1.- Offida una città che respira di una grandezza che pare appena passata.

Offida una città che respira di una grandezza che pare appena passata.

Offida, l’accento va sulla “i” come “vino”. Lo capisci sporgendoti dal parapetto dietro l’abside della chiesa millenaria di Santa Maria della Rocca, che questo è un luogo di-vino: la santità delle penombre di questo monolite della spiritualità, appena traforato da piccoli portici nani, graziosamente minimi, e la leggerezza delle vigne aggrappate ai pendii, là sotto. Il dirupo scende

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2.- Una Gita Fuori Porta: i 10 post più cliccati nel mese di Novembre 2013.

Una Gita Fuori Porta: i 10 post più cliccati nel mese di Novembre 2013.

Chi per colpa della crisi deve rinunciare alle vacanze, può comunque regalarsi un week-end o almeno una giornata di relax.  Che sia alle terme, in un centro benessere, in montagna e persino in città, ecco dieci idee per fare una gita di benessere senza allontanarsi troppo da casa e coinvolgendo tutta la famiglia. La selezione effettuata dai nostri lettori nel mese di Novembre 2013. Si

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3.- Vita dal sapore mediterraneo e un paesaggio indimenticabile, questo è Caldaro.

Vita dal sapore mediterraneo e un paesaggio indimenticabile, questo è Caldaro.

Vita dal sapore mediterraneo e un paesaggio indimenticabile, questo è Caldaro. Distese di vigneti a perdita d'occhio. Cipressi, piante d'alloro e ulivi fanno parte del paesaggio. Edifici storici, costruiti nello stile tipico dell'Oltradige e appartenuti alle ricche famiglie della zona, costituiscono il fiore all'occhiello del paese. E poi c'è il Lago di Caldaro, il più caldo dei laghi della

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4.- Riserva Naturale Monterano, uno degli angoli più rappresentativi ed intatti della Tuscia Romana (2a parte).

Riserva Naturale Monterano, uno degli angoli più rappresentativi ed intatti della Tuscia Romana (2a parte).

Le Rocce Vulcaniche. I terreni sedimentari di cui abbiamo parlato, in ampi tratti del comprensorio Sabatino-Tolfetano sono coperti da rocce vulcaniche appartenenti a due fasi eruttive differenti che danno luogo ad una forma di paesaggio dai toni “drammatici”, completamente diversa dalle dolci colline sedimentarie. E proprio da questi contrasti nasce la grande bellezza di questa Riserva Naturale.

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5.- Riserva Naturale Monterano, uno degli angoli più rappresentativi ed intatti della Tuscia Romana (1a parte).

Riserva Naturale Monterano, uno degli angoli più rappresentativi ed intatti della Tuscia Romana (1a parte).

La Riserva Naturale Monterano, istituita nel 1988, tutela uno degli angoli più rappresentativi ed intatti della Tuscia Romana, tra i Monti della Tolfa e i Monti Sabatini, tutelati da un’altra area protetta. La Riserva Naturale, oggi meta di migliaia di visitatori provenienti da tutta Italia e dall’Europa (attratti dai suoi paesaggi naturali e dalle rovine dell’antica Monterano in cui sono stati

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6.- Una Gita Fuori Porta: i 10 post più cliccati nel mese di Settembre 2013.

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Chi per colpa della crisi deve rinunciare alle vacanze, può comunque regalarsi un week-end o almeno una giornata di relax. Che sia alle terme, in un centro benessere, in montagna e persino in città, ecco dieci idee per fare una gita di benessere senza allontanarsi troppo da casa e coinvolgendo tutta la famiglia. La selezione effettuata dai nostri lettori nel mese di Settembre 2013. Si tratta

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7.- Itinerari pugliesi: Altamura città fiera e ribelle, bella e nobile per la sua storia e cultura.

Itinerari pugliesi: Altamura città fiera e ribelle, bella e nobile per la sua storia e cultura.

La chiamano la Leonessa di Puglia: stiamo parlando di Altamura, città fiera e ribelle, bella e nobile per la sua storia e cultura. Siamo a poco più di 40 km. da Bari e a 19 km. da Matera, quasi al confine della Puglia con la Basilicata. Questa è Altamura, città di storia e dal passato illustre. Il nome ricorda la mitica regina Altea, e nel passato prese anche il nome di Altilia, fiorente città

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8.- Santa Maria di Ronzano a Castel Castagna é una delle più belle testimonianze storico-culturali che o...

Santa Maria di Ronzano a Castel Castagna é una delle più belle testimonianze storico-culturali che offre la provincia teramana.

Santa Maria di Ronzano é una delle più belle testimonianze  storico-culturali che offre la provincia teramana. Risalendo la Vallata del Vomano, da Roseto degli Abruzzi verso il Gran Sasso, si scopre l'Abbazia che troneggia imponente e ben conservata in mezzo alla campagna circostante l'abitato del comune di Castel Castagna, sulla sponda destra del Mavone.  La Chiesa, edificata nel 1171, é una

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9.- Castello De Cesaris a Spoltore, costruzione antica, la cui fondazione è avvolta nel mistero.

Castello De Cesaris a Spoltore, costruzione antica, la cui fondazione è avvolta nel mistero.

Quando il padre le donò l’antico e malandato fabbricato, noto a Spoltore come “il castello”, la signora Luciana De Cesaris era una giovane donna che svolgeva a Roma l’attività di arredatrice e lì coltivava i suoi interessi. All’improvviso si ritrovò proprietaria del grande edificio che negli anni della sua infanzia aveva ospitato, oltre alla scuola e ad alcune botteghe di artigiani, anche la

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10,. Una Gita Fuori Porta: i 10 post più cliccati nel mese di Agosto 2013.

Una Gita Fuori Porta: i 10 post più cliccati nel mese di Agosto 2013.

1.- Gli interni abruzzesi della villa Dragonetti De Torres a Paganica (2a parte). Qui la decorazione parietale ad affresco viene intervallata, in entrambi i lati, da nicchie che accolgono una serie di busti marmorei di epoca romana, reperti provenienti dal mercato antiquario da cui i Dragonetti attinsero e che contribuì ad arricchire l'ordine decorativo della villa.  Da questo stesso mercato è

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La Riserva Naturale Orientata dello Stagnone rappresenta un laboratorio naturale.

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Suggestiva e sensuale, la Riserva Naturale Orientata dello Stagnone si estende, entro il territorio di Marsala, per un lungo tratto che va da capo Lylibeo a San Teodoro.

Stiamo parlando di un luogo molto speciale: dal punto di vista zoologico, esso rappresenta un laboratorio naturale in cui nuovi organismi si formano e si evolvono prima di confrontarsi con il mare aperto. Unico ambiente europeo ad avere tale privilegio, merita per questo un rispetto particolare.

Il nome della riserva si riferisce al fatto che l’ampio tratto di mare interessato è separato dal resto del Mediterraneo grazie ad un grande frangiflutti naturale, l’Isola Grande, che rende le sue acque placide e tranquille.

All’interno della laguna è presente un piccolo arcipelago di isolette: isola Grande, Mothia, S. Maria e il piccolo scoglio di Schola, così chiamata per la convinzione popolare che in epoca romana vi fosse una scuola di retorica. Il mare qui si mantiene molto basso tanto che è possibile percorrerlo per lunghi tratti senza che il suo livello superi l’altezza delle ginocchia.

Stagnone_map

Nei suoi punti più profondi l’acqua raggiunge i 3 m. ma da S. Teodoroè anche possibile raggiungere l’Isola Lunga a piedi e fino a qualche decennio fa carretti e cavalli si immergevano in acqua per arrivare fino a Mothia.

D’estate è facile vedervi qualcuno in windserf o in canoa, proprio per il fatto che le acque basse e tranquille garantiscono la totale sicurezza anche per i principianti.

C’è anche chi vi fa il bagno: questo specchio d’acqua, dall’elevata salinità, d’estate si fa piacevolmente calda, con temperature insolite per altre zone del territorio.

Vi basterà guardare lo Stagnone dalla riva per innamorarvene: la strada corre proprio accanto all’acqua ed una passeggiata in bicicletta, o se preferite in auto, vi permetterà di osservare le isole, tutte in bella mostra l’una accanto all’altra, l’acqua bassa e tranquilla, i ciuffi di vegetazione spontanea che crescono qua e là e, infine, le saline con i loro mulini a vento.

stagnone

La Riserva dello Stagnoneè infatti un meraviglioso connubio di natura, storia e azione umana che si sono fusi insieme creando un paesaggio unico e mozzafiato. L’isola di Mothia custodisce numerosi reperti archeologici di quell’epoca in cui la sua posizione del Mediterraneo ne aveva fatto un importante scalo commerciale fenicio tanto da nuocere a Dionisio di Siracusa che la distrusse nel 397 a.C.

Le saline sono una delle più antiche e più produttive attività di questa zona a cui la natura ha donato un clima perfetto per raccogliere dalle sue acqua il sale, farlo asciugare con il calore del sole e infine asciugarlo al vento, cosicché ai passanti sia data l’opportunità di godere dello spettacolo di quelle enormi montagne bianche dietro cui va a dormire il sole mentre, appena più in là, fanno capolino le sagome delle piccole isole.

turismo_naturalistico

Ente Gestore: Provincia Regionale di Trapani
Via Vito Carrera 23
Tel: 0923 873678

Come arrivare

In aereo

- Aeroporto Trapani/Birgi“Vincenzo Florio”
- Aeroporto Palermo“Falcone e Borsellino”

vista da Marsala a Trapani

In auto

Percorrere la litoranea Trapani-Marsala - Se si vuole visitare le isole, seguire le indicazione per l’Imbarcadero per Mothia

In barca

Per raggiungere Mothia vi è un apposito servizio più volte al giorno che parte dall’apposito imbarcadero in C/da Spagnola a Marsala.

Saline dello Stagnone MarsalaLa Fauna delle Isole dello Stagnone.

stagnone fauna

Gli uccelli - Quando gli uccelli migratori tornano dall’Africa verso l’Europa approfittano dell’ambiente umido, e quindi ricco di cibo, dello Stagnone per rinfrancarsi un po’. La riserva dello Stagnone e quella delle saline di Trapani e Paceco sono ormai rimaste tra le poche oasi di benessere che si incontrano sul cammino dei Corrieri grandi e piccoli, del Fratino che nasconde le uova fra le foglie di Posidonia, del Cavaliere d’Italia e delle Avocette che qui si riproducono.

Già da luglio lo Stagnone ospita i migratori autunnali: i Chiurli dal becco ricurvo e i Mignattai con il loro piumaggio scuro. Poi con il freddo arrivano stormi di Anatre, con il Falco di palude che li attende in agguato, Moriglioni, Alzavole, Folaghe, Germanireali, Codoni e Marzaiole. Splendida è l’immagine degli Aironi, superbi ed alteri, intenti a cercare del cibo tra le vasche delle saline. Non sarà difficile per voi scorgervi gli Aironi cenerini, le candide Garzette, i Cormorani, le eleganti Spatole che lasceranno lo Stagnone solo in primavera e perfino i Martin Pescatore che quando aprono le ali mostrano tutta la bellezza della livrea celeste. Non mancano nemmeno i Gheppi, famosi per i loro voli in picchiata sulle prede, e il Falco Pescatore, abilissimo nei tuffi in acqua. Gli ambienti litoranei salmastri consentono infine la sopravvivenza di una piccola farfalla, la Licena fenicia.

I pesci - La fauna ittica dello Stagnoneè diversa a seconda della zona presa in considerazione. In particolare distinguiamo due aree: la prima, a sud, ha maggiori possibilità di comunicazione con il mare aperto mentre la seconda, a nord, ospita forme di vita più strettamente legate ad ambienti lagunari. E’ per questo che nella prima vivono saraghi, orate e triglie e nella seconda solo pesci più piccoli con ciclo di vita breve.

La Flora delle Isole dello Stagnone.

stagnone flora

La vegetazione spontanea che arricchisce e decora la riservaè piuttosto varia e deve la sua sopravvivenza al moto delle maree grazie al quale sono affievoliti gli effetti della scarsa profondità e delle alte temperature estive che, di per sé, renderebbero impossibile ogni forma di vita animale o vegetale. La sua tutela è di notevole importanza perché si inserisce in un progetto più ampio di salvaguardia di tutto il triangolo fra Trapani, le Egadi e CapoFeto, ovvero la fascia marina in cui è presente la Posedonia oceanica, una palmetta sottomarina che vive solo in acque estremamente pulite. In alcuni tratti, essa forma dei piccoli atolli che ospitano numerose altre popolazioni animali e vegetali. Altre specie di Posedonia si trovano solo in Australia.

Lo Stagnone inoltre possiede una rara particolarità: nelle sue acque stranamente riescono a convivere specie che fuori da qui sarebbero incompatibili, che lotterebbero l’una con l’altra per la sopravvivenza o che semplicemente appartengono a ecosistemi differenti. Le zone con una maggiore salinità ospitano la Suaeda maritima, la Salicornia, la Salsola soda, il Limonio delle saline: tutte specie alofile, capaci grazie a meccanismi fisiologici molto specializzati, di resistere ad elevate concentrazioni di sale.

Su accumuli di Posidonia depositati dal mare lungo le coste si può rinvenire la Calendula maritima, piantina erbacea con capolini gialli presente esclusivamente nella Sicilia occidentale. Dove l’acqua salmastra fa sentire meno i suoi effetti si sviluppano il Giunco e l’Inula. Nelle zone più interne delle isole si sviluppa la macchia mediterranea con specie termofile quali il Lentisco, la Palma nana, il Cisto rosso, l’Asparago pungente.

Sull’Isola Grande e su quella di S. Maria sono stati impiantati alcuni decenni or sono boschetti di Pino d’Aleppo. A Mozia viene ancora coltivata la Vite, e sulla piccolissima Scholaè frequente la Ferula, un’alta pianta erbacea con foglie piumose e grossi fiori gialli.

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Saline di Trapani e Paceco: uomini e natura finalmente insieme.

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La Riserva Naturale Orientata Saline di Trapani e Paceco copre il territorio compreso fra le città di Trapani e Paceco e, più precisamente, l’area che va dalla zona sud del capoluogo fino alla frazione di Salina Grande.

Qui le strutture create secoli fa per la lavorazione del sale si sono fuse armoniosamente con il paesaggio naturale per dare vita ad un ambiente unico e profondamente suggestivo.

Forse è uno dei pochi esempi del nostro mondo civilizzato in cui le attività produttive umane non solo non hanno distrutto l’ambiente originario ma che, al contrario, lo hanno impreziosito con un tocco tutto particolare.

Se ne coglie appieno la bellezza soprattutto al tramonto: quando cala il sole, ognuna delle vasche assume una tonalità diversa, dal rosa intenso al rosso e al dorato. Guardandole, in quei pochi attimi prima che tutto finisca, vedrete, come per magia, colori e sfumature che inseguono l’un l’altro.

cartina_provincia_di_TrapaniLa riserva è stata istituita nel 1995 per proteggere una delle ultima zone umide ancora presenti nella Sicilia occidentale.

Da allora i suoi 986 ettari, divisi fra riserva e pre-riserva, sono affidati alla cura del Wwf Italia.

Di origine fenicia, il geografo arabo al-Idrīsī documenta la presenza delle saline già nel periodo della dominazione normanna in Sicilia.

Sotto il regno di Federico di Svevia fu istituito il monopolio di Stato sulla produzione del sale, che si protrasse anche durante la dominazione angioina.

Furono in seguito gli aragonesi a sancire il ritorno alla proprietà privata, ma fu sotto la corona spagnola che l'attività di produzione del sale raggiunse la sua acme, trasformando il porto di Trapani nel più importante centro europeo di commercio del prezioso elemento.

Trapani Mulini_del_SaleDal 1861 con l'Unità d'Italia queste saline non furono nazionalizzate, e furono le uniche a superare il monopolio del sale da parte dello Stato, esportandolo in diversi paesi.

Dopo la prima guerra mondiale con la concorrenza delle saline industrializzate di Cagliari iniziò la decadenza delle saline trapanesi, accentuata dallo scoppio della Seconda guerra mondiale e dalla concorrenza straniera con il salgemma.

Molte delle saline furono dismesse o abbandonate.

Restano i caratteristici mulini a vento, utilizzati nel tempo, per una duplice funzione: alcuni per la macinazione del sale, altri per il pompaggio dell'acqua salata da una vasca all'altra.

Saline_di_Trapani_-_raccolta_del_sale

Ma dopo la istituzione della Riserva, avvenuta con decreto dell’Assessore al Territorio e Ambiente della Regione siciliana n.257 dell’11 maggio 1995, ed il suo affidamento in gestione al WWF Italia, si è assistito ad un nuovo rilancio delle attività produttive e della lavorazione del sale, da parte della Sosalt, che è il principale produttore, con l'approvazione di interventi di restauro e recupero degli impianti abbandonati.

Il sale marino trapanese è oggi inserito nell'elenco dei Prodotti agroalimentari tradizionali siciliani riconosciuti dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, che nell'aprile 2011 ne ha anche riconosciuto la IGP con la denominazione "Sale marino di Trapani".

Nel 2011 le saline di Trapani hanno ottenuto il riconoscimento di zona umida Ramsar, con decreto del ministero dell'Ambiente.

Saline_di_Trapani

Per maggiori informazioni, visitate il sito www.salineditrapani.it
Ente gestore: W.W.F. for Nature - O.N.L.U.S.
Via G. Garibaldi n.138, c.da Nubia Paceco
tel-fax +39 0923 867700

Come arrivare.

In aereo.

Aeroporto Trapani/Birgi “Vincenzo Florio”: seguire la SP 21 in direzione Trapani sino ad arrivare al mulino Maria Stella

Saline_trapani_-_il_vecchio_stabilimento

In auto.

- Da Trapani: seguire la SP 21 in direzione Marsala fino al mulino Maria Stella
- Da Palermo: seguire l’ A/29 Palermo-Mazara in direzione Trapani. Seguire poi le indicazioni per il porto. Imboccare la SP 21 fino al mulino Maria Stella.

La Flora delle Saline di Trapani e Paceco.

saline trapani flora

Fin da tempo immemorabile, tutta questa zona è stata dedicata all’estrazione di sale dal mare. Come è facile capire, dunque, stiamo parlando di un territorio caratterizzato da un’altissima concentrazione di cloruro di sodio che non è certo la condizione ideale per il fiorire di una estesa vegetazione. E’ tuttavia straordinario come alcune specie riescano ad adattarsi anche a terreni così ostici sviluppando, con il tempo, degli appositi meccanismi di sopravvivenza. Così hanno fatto la Salicornia, l’Halimione portulacoides dalla colorazione grigio-argentea, la Suaeda, l’Atriplex alimus, la Frankenia pulverulenta, il Limonium avei e il Bupleuro che s’ incontrano lungo tutto il bordo delle vasche per la raccolta del sale.

Lungo i sentieri, si può anche trovare il Fungo di Malta, pianta priva di clorofilla che si trova soltanto in poche altre località del Mediterraneo. La zona costiera tra le saline Ronciglio e il canale Baiataè dominio di specie tipiche di tali ambienti: Mattiola, Gramigna delle spiagge, Inula crithmoides e il Limonium serotinum. Accanto ad esse crescono anche alcune rare specie l’endemiche come la Calendula maritima, il Limoniastrum monopetalum e il Limonium densiflorum.

La Fauna delle Saline di Trapani e Paceco.

saline trapani fauna

Gli uccelli - Essendo una delle ultime poche zone umide sulla rotta degli uccelli migratori che si spostano da e verso l’Africa, le Saline di Trapani e Paceco rappresentano per molti di essi un importante punto di sosta e di ristoro. Il raro Tarabuso, protetto a livello internazionale, le bianche Garzette, il Pignattaio con il suo becco ricurvo, la Sgarza ciuffetto, la Spatola riconoscibile con facilità per il suo strano becco, la Morettatabaccata e il Falco Pellegrino trovano qui cibo e riparo.

Spesso, come in posa per una foto, Aironi e Fenicotteri rimangono per lungo tempo immobili sulle sottili zampe con la testa piegata in giù, cercando cibo nel fondo delle vasche. Né mancano gli esemplari di fauna palustre come il Falco e il Gufo di palude. Spettacolari sono gli slanci del Martin Pescatore e del Falcopescatore quando dall’alto avvistano le prede e vi si gettano addosso. Ad alcune specie questo luogo piace così tanto che esse decidono di fermarsi qui a nidificare. Stiamo parlando del Cavaliere d’Italia, del Fratino e del Fraticello, dell’Avocetta e della Volpaca. Sui cespugli di Salicornia trova riparo e nutrimento la rara Teia Dubia , piccola farfalla presente solo nelle Saline di Trapani e Paceco e nello Stagnone di Marsala. Lo spostamento e la diffusione altrove di questa specie è praticamente impossibile dato che la femmina è priva di ali.

I mammiferi - Ma non pensate che queste saline siano accoglienti solo per gli uccelli. Qui vivono infatti anche Volpi, Donnole, Ricci e Conigli.

I pesci - Nei canali ed in alcune vasche nuota il Nono (Aphanius fasciatus), un piccolo pesce che la Comunità Europea ha dichiarato a rischio

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Arcipelago delle Egadi, la Riserva Naturale Marina più grande del Mediterraneo.

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Davanti la costa trapanese si apre l’arcipelago delle Egadi, la Riserva Naturale Marina più grande del Mediterraneo per i suoi ben 524 Kmq. Ne fanno parte tre isole maggiori - Levanzo, Favignana e Marettimo– e due isolotti disabitati, Formica e Maraone.

Tre isole, un mare dal colore incantevole, spiagge e coste frastagliate. Pochi abitanti e l’atmosfera di posti in cui il tempo scorre in un modo tutto suo. Ma soprattutto le profondità del mare: fissarlo per ore non servirebbe probabilmente a smorzare lo stupore del primo sguardo. Una ricca varietà d’ambienti diversi, nati per l’azione congiunta di vento, caratteri geologici, condizioni idrodinamiche e morfologiche, dove la vita ha assunto molte forme.

Un paradiso per chi il mare se lo gode dalla superficie e, ancor di più, per chi ne vuole esplorare i segreti grovigli che si celano in profondità. Piccole insenature dove c’è spazio solo per pochi e un’infinità di grotte, alcune dove è possibile arrivare in barca e altre che solo ai sub è concesso indagare. Colori, odori, sapori e suoni che non sanno parlare la stessa lingua della gente di città. Luoghi dove ti svegli e la prima cosa che ti chiedi è “da che parte soffia oggi il vento ? Come sarà il mare ?”.

egadi mappaMarettimo - E’ la più lontana dalla costa. Appena sbarcate sull’isola, prima ancora di rendervi conto che l’intero paese è concentrato su l’unico punto in cui la montagna si immerge in mare senza eccessiva foga, incontrerete i pescatori. Vi stanno aspettando, già pronti con le loro barche, per offrirvi il giro dell’isola.

E’ un’esperienza che vale la pena fare!!. Vi porteranno a vedere le grotte intorno all’isola e vi racconteranno la storia e le particolarità di ognuna. Guardate l’acqua: ad ogni metro vedrete il mare sotto di voi cambiare sfumature e sopra di voi le pareti della montagna a strapiombo sul mare. In un solo punto di quell’isola l’uomo poteva vivere: proprio li dove c’è il paese.

egadiIl resto è montagna. Montagna e mare, le due anime dell’isola, le due parole che le danno il nome: mare-timo. Forse farete una sosta a cala Bianca e sicuramente passerete accanto al Castello.

Vi racconteranno di Marettimo con la semplicità di chi ci vive e vi chiederanno dove volete fermarvi: qui non esistono spiagge che potete raggiungere da voi. Qui c’è la montagna e solo tante piccole calette dove approdare dal mare. Non aspettatevi di trovare, per il vostro divertimento, niente di più di qualche bar o qualche ristorantino. Qui si vive di sola natura.

Favignana - La più grande e la più famosa delle tre isole, quella che si avvicina di più ad una vera e propria città. La farfalla che si posò sul mare e la regina delle tonnare ai tempi in cui la mattanza faceva la fortuna dei Florio. Isola dalle acque limpidissime, in cui ogni angolo è un paesaggio nuovo da scoprire: Cala Azzurra, Cala Rossa, Cala Rotonda e tutte quelle piccole insenature senza nome. Il vostro compito è solo di scoprire quale vi piace di più. Spiagge bianche o piccole cale circondate da rocce, scogli da cui i bambini si tuffano con capriole da maestro e fondali che sembrano fatti proprio per la gioia dei sub.

Levanzo - Verde e montuosa, la più piccola delle Egadi è conosciuta in tutto il mondo perché ha l’onore di conservare, nella Grotta del Genovese, pitture e graffiti della fase finale del Paleolitico. Le visite guidate vi permetteranno di ammirare figure di uomini, animali e pesci risalenti anche a 10.000 – 15.000 anni fa.

egadi1

Ente Gestore: Comune di Favignana
Piazza Europa – Favignana

Come arrivare

Le isole sono raggiungibili da:

- Trapani www.usticalines.it
- Marsala www.usticalines.it e www.siremar.it

La Fauna delle Isole Egadi.

egadi fauna marina

L’arcipelago delle Egadi, pur essendo una Riserva Marina, riveste una notevole importanza anche per la fauna presente all’interno delle isole, soprattutto quella migratoria. Da qui passano regolarmente il Grifone, bellissimo con le sue ali ampie, il Canovaccio, il Biancone, rapace di grosse dimensioni dalle ali sfrangiate, la Berta, che ama soprattutto mantenersi in volo ma abile anche nel nuoto, e il Cormorano a cui il corpo affusolato e le zampe palmate permettono di nuotare velocemente sott’acqua. A volte può anche capitare anche di scorgere esemplari di Cicogna, Gru, Fenicottero e Pellicano. In queste montagne vivono stabilmente il Falco Pellegrino, il Rondone maggiore, il Barbagianni, il Passero solitario, la Cappellaccia e, cosa degna di merito, l’Aquila del Bonelli, specie a rischio d’estinzione.

In mare - La prateria a Posidonia oceanica forma una copertura continua fra Favignana e Levanzo. Essa costituisce un vero e proprio ecosistema, rappresentando un habitat perfetto per la riproduzione di numerosissime specie di organismi che vi trovano riparo e nutrimento. Qui vivono numerose specie di pesci come la Donzella, riconoscibile per la livrea striata di rosso e fasce più scure, la Castagnola rossa, bella proprio per il colore rosso acceso, il Sarago sparaglione e cefalopodi come la Seppia, predati da specie più grandi quali lo Scorfano, il Sarago e il Polpo.

Oltre i 30-40 metri di profondità, l’ambiente è semibuio e la superficie delle rocce è ricoperta da organismi incrostanti e dalle coloratissime Gorgonie, rosse e gialle, e dalle splendide Paramuricee purpuree. A queste profondità, tra le fessure delle rocce, trovano un ambiente ideale l’Aragosta, la Cernia, il Gronco, con esemplari di notevoli dimensioni, e la Murena.

La Flora delle Isole Egadi.

egadi flora

Le montagne - Levanzo e Marettimo, grazie alla loro natura montuosa e alla minor presenza umana, godono di una folta vegetazione. Marettimo, in particolare, essendosi staccata dal resto della Sicilia in un epoca antecedente alle altre, ha sviluppato numerosi endemismi propri, alcuni molto rari nel resto del territorio siciliano e altri totalmente inesistenti. Marettimo quindi è un vero e proprio orto botanico creatosi naturalmente su uno scoglio staccatosi 600.000 anni fa dalla Sicilia. La flora qui è così ricca che elencare tutte le più di 500 specie riconosciute sarebbe impossibile. Basti ricordare che la zona vicina all’abitato è ricoperta da una folta macchia mediterranea composta in prevalenza da Erica multiflora, pianta legnosa dal bel colorito rosato, Elichrysum pendulum, Rosmarino, Satureja fruticulosa, Euphorbia dendroides, che colora l’ambiente con i suoi toni vivaci, i piccoli arbusti sempreverdi di Cisto, la Ruta chalepensis con il suo fusto legnoso e i petali gialli, e la Daphne oleifolia, specie presente soltanto qui, insieme a qualche esemplare di Leccio e Pino d’Aleppo.

Sulle pareti che scendono verticali verso le profondità del mare invece si è sviluppata una ricchissima vegetazione fatta di adattamenti rarissimi e consociazioni uniche al mondo: ci sono i cespugli di Bupleurum, paleoendemismo dai delicati rametti, i caratteristici cuscini di Locinera implexa, la Brassica macrocarpa, endemismo tipico di questi dirupi dalle infiorescenze gialle. La stessa cosa si può dire per Levanzo. Favignana invece è quella più pianeggiante e anche quella più sfruttata dall’uomo. E’ più brulla anche se persistono tracce di gariga, di macchia mediterranea, soprattutto Lentisco, Carrubo, Euphorbia e Sommacco, e di vegetazione rupestre tra cui spicca il Cavolo marino, specie endemica esclusiva delle Egadi.

Il mare - Le rocce più compatte di Levanzo e Marettimo favoriscono, non troppo in profondità, lo sviluppo di una vegetazione amante della luce. Tra questa, spicca la Cystoseira sp., che attecchisce meglio in fondali poco pendenti. Il fondale più morbido di Favignanaè invece un’ ottima sede per la crescita delle angiosperme marine come la Posidoniaoceanica, endemica del Mediterraneo, e la Cymodocea nodosa che si riconosce per il fusto tendente al rosso e le foglie allungate. Nei primi metri di profondità, sono presenti delle alghe tipiche degli ambienti ben illuminati come la Padinapavonia, alga bruna dalla forma a ventaglio, e Acetabularia acetabulum, dalla caratteristica forma ad ombrellino. In ambienti meno illuminati, è possibile ammirare le Spugne incrostanti e numerose colonie di Antozoi, animali acquatici a forma di polipo, come l’Astroides calycularis (la madrepora che crea incrostazioni rosse tondeggianti), la Margherita di mare, esacorallo dai polpi gialli, e il Falso corallo.

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Riserva naturale dello Zingaro, 7 Km di costa incontaminata tra San Vito Lo Capo e Scopello.

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Il paesaggio - Tra Castellammare del Golfo e Trapani si nasconde uno degli angoli più magici della Sicilia: sentieri angusti e antichi ci guidano all’interno di un’oasi da sogno immersa nel tipico ambiente mediterraneo, tra alberi e arbusti sempreverdi che si inerpicano su un suolo roccioso.

L’unica cosa possibile di fronte allo splendido paesaggio dello Zingaroè stupirsi ad ogni passo per gli scorci mozzafiato: muraglioni di roccia calcarea si innalzano al di sopra di una ricca e florida vegetazione, finendo poi per gettarsi a capofitto in un mare cristallino.

Forse anch’essi intimamente incantati dalla bellezza di quelle acque che sfumano dall’azzurro chiarissimo al blu profondo e al verde.

Zingaro_mapUn mare di cui anche l’occhio nudo scorge i fondali senza difficoltà, un mare che accarezza dolcemente le spiagge bianche delle piccole calette, un mare che si insinua tra le grotte sommerse per nascondere e svelare la vita dei pesci e delle piante che lo animano.

La rigogliosa vegetazione della riservaè diventata il prediletto rifugio di uccelli e mammiferi di molte specie, alcune anche rare.

E le piccole insenature sparse su tutta la costa sono meta di pellegrinaggio estivo per tutti coloro che vogliono ritemprare corpo e mente in questo piccolo paradiso incontaminato e gelosamente protetto.

Una terra che da millenni è li, difesa e tormentata dalle rocce aspre e irte, colorata dal verde della caratteristica flora del luogo e dall’azzurro intenso delle acque, amata da uomini e animali.

riserva_naturale_dello_zingaroPer tanto tempo pastori e agricoltori l’hanno lavorata, l’hanno sfruttata ma mai distrutta. E questo ha fatto si che i suoi 1600 ettari di area protetta e i 7 km di costa siano ancora oggi un vero e proprio paradiso naturale.

Divertirsi allo Zingaro:

- i lunghi sentieri della riserva sono perfetti per escursioni e trekking
- le grotte sottomarine e i sorprendenti fondali fanno la gioia dei sub
- le aree attrezzate per i pic-nic sono perfette per godersi una giornata di totale relax
- il museo delle Attività marinaree quello della Civiltà contadine narrano la storia e gli antichi riti di questi luoghi
- il birdwatching per gli appassionati.

Ingresso

Gli ingressi alla riserva sono due:

a Sud, da Scopello: ingresso principale attrezzato con strutture ricettive; percorrere l’autostrada A29 Palermo-Mazara fino all’uscita per Castellammare del Golfo. Seguire la SS 187 in direzione Trapani fino allo svincolo per Scopello.

a Nord, da San Vito Lo Capo: arrivare alla SS 187 come sopra indicato e svoltare allo svincolo per San Vito.

In entrambi i casi è necessario lasciare il proprio mezzo di trasporto negli appositi parcheggi e proseguire a piedi.

Tariffe e Apertura

- costo del biglietto: 3 euro
- ragazzi da 10 a 14 anni: 2 euro
- comitive: 0,50 euro
- visitatori al di sotto dei 10 anni: gratuito

Da Ottobre a Marzo: 8.00 /16.00
Da Aprile a Settembre: 7.00/20.00

Per maggiori informazioni consultare il sito ufficiale della Riserva Naturale Orientata della Zingaro: www.riservazingaro.it

riservazingaro

I percorsi

All’interno della riserva sono predisposti diversi itinerari percorribili. Alcuni costeggiano il litorale mentre altri permettono di ammirare le bellezze naturalistiche dell’interno. E’ possibile scegliere fra alternative di diversa difficoltà e durata.

I rifugi

In contrada Sughero, sempre all’interno della riserva, si trovano dei rifugi in cui, previa prenotazione, nel periodo fra ottobre e maggio, è possibile pernottare.
Per informazioni sulle possibili varianti consultare il sito ufficiale della Riserva Naturale Orientata della Zingaro: www.riservazingaro.it Tel. 0924.35108

La Fauna dello Zingaro.

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La riserva pullula di vita: prospera grazie ai suoi piccoli abitanti e permette a loro stessi di vivere. Durante una tranquilla passeggiata, potrebbe capitarvi di incontrarne qualcuno. L’ambiente della riserva infatti, con le sue pareti rocciose, le praterie, gli alberi, gli arbusti e una gran quantità di piante di ogni tipo, è il luogo ideale per molti animali che qui trovano cibo e protezione. Insieme a numerosi esemplari della fauna tipica del luogo, la riserva ha il vanto e l’onere di ospitare alcune specie a rischio di estinzione, a cui questo angolo inviolato di Sicilia permette ancora di sopravvivere.

Gli uccelli - Stabilmente nidificano all’interno della riserva circa 40 specie diversi di uccelli, senza contare quelle che lo attraversano nel corso delle loro migrazioni. Grande vanto della riserva è l’Aquila del Bonelli, la cui protezione è stata tra i principali motivi che hanno influito sull’istituzione stessa della riserva. La progressiva scomparsa del suo habitat naturale e la sempre più scarsa presenza di cibo ne hanno infatti messo in serio pericolo l’esistenza. Ma l’aquila del Bonelli ha trovato qui tutto ciò di cui ha bisogno: nidifica stabilmente nelle zone più alte della riserva, sui dirupi e sulle pareti rocciose, e soprattutto ha a disposizione il suo cibo preferito, il Coniglio selvatico di cui la riserva abbonda. Anche la Coturnice di Sicilia gode qui delle condizioni ideali per la sua sopravvivenza, mentre le attività venatorie e i cambiamenti ambientali ne stanno mettendo a rischio l’esistenza un po’ dappertutto. E’ un fasianide endemico della Sicilia, di piccole dimensioni, riconoscibile per il collare nero che la distingue dalla specie continentale. Vive nelle zone più nascoste, fra rocce scoscese e boscaglia.

Passeggiando per i sentieri della riserva è possibile, senza molte difficoltà, veder volare il Gheppio, quel piccolo rapace dalle ali appuntite e la coda stretta, il Falco Pellegrino che scende in picchiata sulla preda e i Rondoni dalle grandi ali, abilissimi in volo ma incapaci di posarsi a terra, o ancora gli acrobatici voli nuziali del Corvo Imperiale e della Poiana. Tutto questo mentre lo Scricciolo ci allieta con il suo canto energico e vivace o mentre l’Usignolo ci stupisce per la complessa melodia di cui solo lui è capace. E poggiato su un ramo potremo riconoscere il caratteristico piumaggio blu del Passero Solitario o lo Zigolo, piccolo passeriforme dal becco sottile. E poi ancora sentire muoversi intorno a noi cornacchie, gazze, gabbiani e colombi selvatici.

Durante la notte vigilano sullo Zingaro l’Allocco, con i grandi occhi neri e il piumaggio morbido, e la Civetta, con il suo piumaggio bruno-bianco e la caratteristica testa grande e appiattita. Nelle zone più aperte è facile trovare il Saltimpalo, piccolo passeriforme anch’esso drasticamente ridottosi a seguito dello stravolgimento del suo habitat naturale, il Cardellino, specie protetta dal canto gradevole e dal piumaggio allegro, il Culbianco, insettivoro dalla livrea variabile a seconda della stagione e del sesso, le Monachelle, piccoli passeriformi dal colore fulvo. Nelle aree arbustive è stanziale il piccolo Occhiocotto, un elegante insettivoro dal piumaggio grigio e la testa nera che si riconosce facilmente per il cerchio rosso intorno all’occhio.

I mammiferi - Se mentre percorrete i sentieri meno frequentati dello Zingaro vi capita di trovare degli aculei, sappiate che essi appartengono ad uno dei tanti Istrici che popolano la riserva: animale solitario e tranquillo, ama soprattutto gli angoli più silenziosi e cespugliosi. Altri abitanti della riserva sono la Volpe e la Donnola, specializzata nella caccia a piccoli mammiferi e roditori. Il ruolo di questi predatori è fondamentale per l’equilibrio della riserva: come del resto accade in natura, l’eccessiva riproduzione di alcune specie, specialmente del coniglio e dei serpenti, è frenata dalla corretta realizzazione della ben nota catena alimentare.

I rettili - Tra tutti spicca la Lucertola siciliana, una specie esclusiva dell'Isola, lunga circa 7 cm, dalla testa grande. Si riconosce per il dorso verde con striature laterali più chiare. Vive generalmente su un suolo erboso e non ha l’abitudine di arrampicarsi sui pendii, che sono invece prediletti dal Geco e dall’Emidattilo. I numerosi cuscinetti che il Geco ha sotto le zampe gli permettono di arrampicarsi facilmente dovunque, portandosi anche a testa in giù. Molto simile alla lucertola, se ne distingue per il corpo più pieno e il colore più scuro. Il Gongolo ocellato è un piccolo sauro insettivoro che si presenta con un corpo molto allungato da cui la testa si distingue a malapena. Il suo nome è dovuto alla bordura scura che circonda gli occhi. Gli anfibi Nell’ambiente umido dei piccole rivoli superficiali, vivono il raro granchio di fiume e il discoglosso dipinto. Il Granchio di Fiumeè molto meno conosciuto rispetto al suo corrispondente marino, anche perché sta diventando sempre più raro a causa dell’inquinamento e della progressiva scomparsa dei piccoli corsi d’acqua in cui vive. E’ un crostaceo di notevoli dimensioni, con possenti chele e occhi grandi. Il Discolosso dipinto non si trova in nessun altra parte d’Italia. Simile ad una rana, ha una lunghezza media di 5 cm e una lingua arrotondata a margine libero posteriormente da cui ha tratto il nome. Fa parte delle specie che richiedono una protezione rigorosa, elencate nella Direttiva Europea 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali.

In fondo al mar - Lo sguardo rimane incantato davanti un’acqua che non nasconde ma che si lascia attraversare dai riflessi del sole per poi svelare tutti i segreti del mare di Sicilia. E così si perde, in questo fondale intricato, tra anemoni, madrepore e spugne alla ricerca dei pesci coloratissimi, delle piccole formazioni di corallo rosso e delle mille, piccole altre indescrivibili meraviglie.
Per ulteriori informazioni:

www.riservazingaro.it
www.regione.sicilia.it/agricolturaeforeste/azforeste/Riserve/

La Flora dello Zingaro.

riserva naturale Chamaerops_humilis

La riserva ha l’aspetto tipico di un paesaggio mediterraneo, inorgoglito dalla presenza di numerose specie e di importanti endemismi. Vi consigliamo la visita nel periodo primaverile, quando si può godere dello spettacolo multicolore delle piante in fiore: quando Giaggioli, Zafferani, Papaveri, Ranuncoli, Garofanini, Fiordalisi di Sicilia, Bocche di Leone e Stelline Rupestri incantano con la loro bellezza. Costruzioni sparse, antiche case coloniche oggi trasformate in musei, si nascondono tra olivi, frassini, mandorli e carrubi. Sono state individuate circa 40 specie endemiche, fra cui è d’obbligo ricordare il Limonio di Todaro.

Esclusivo dello Zingaro, è arroccato nelle parte più scoscesa, sulle rupi di Monte Passo del Lupo, a circa 700 m d’altezza. La stessa zona è di grande rilievo per essere uno degli ultimi stralci dei boschi di Leccio e sughereta, un tempo molto estesi in Sicilia ma ormai una rarità. L'inaccessibilità dei luoghi fa si che vi crescano indisturbate l'Erba Perla, il Vilucchio Turco, la Perlina di Boccone. Qui trovano ospitalità anche piccole Felci, Ciclamini e cespugli di Pungitopo, insieme ad esemplari di macchia bassa come Timo e Ginestra.

Nella riserva sono presenti molte specie tipiche del bacino mediterraneo che hanno in Sicilia ampia diffusione: il Ficodindia, albero da frutto che conta diverse varietà, il Cappero, il Finocchio marino, l’Oleandro, l’Alloro e la Malva. Nella parte alta, il paesaggio assume per ampi tratti l’aspetto di una prateria in cui è forte la presenza di erbacee che vivono bene anche in ambienti aridi. Si tratta probabilmente di una formazione che segnala la precedente esistenza della macchia mediterranea. Vi troviamo il Barboncino mediterraneo, con i suoi fiori rosso vivo, e la Disa, un'erbacea di alto sviluppo a portamento cespuglioso. Inoltre si possono ammirare numerose orchidee terricole come l’Ofride e l’Orchidea di Branciforti.

A valle di Monte Acci, si trova una zona dominata da Giunchi e Carici, i quali creano un ambiente ideale per il Discoglosso, piccolo anfibio siciliano simile alla rana, ed il Granchio di fiume. Sono infatti ambienti molto simili a quelli delle rive dei corsi d’acqua e ospitano pertanto la loro flora tipica: Salice pedicellato, Olmo canescente e Trifoglino palustre. Signora indiscussa della riserva è la Palma Nana che ne domina tutto il paesaggio con i suoi numerosi e solenni esemplari. In genere si presenta come arbusto. Ma allo Zingaro ha trovato delle condizioni particolarmente favorevoli che l’hanno fatta crescere con portamento arboreo. Unica palma che nasce spontaneamente nell’isola, risale ad un’epoca antecedente all’ultima glaciazione, quando il clima era tropicale. Nel passato era spesso usata dalla popolazione locale per produrre oggetti d’uso quotidiano come scope, cestini, stuoie. Questo spiega il perché dei suoi nomi dialettali: Giummara, Scupazzu e Scuparina.

Chi fosse interessato a conoscere a fondo la flora della Riserva dello Zingaro può consultare l’erbario che è conservato presso il Centro Visitatori all’interno della riserva.

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Riserva Naturale Orientata del Monte Cofano, una ricca vegetazione e grotte di notevole interesse geologico e paleontologico.

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La Riserva Naturale Orientata del Monte Cofano, nel territorio di Custonaci, copre un’area di 537 ettari in una posizione particolarissima. Dove i fianchi curvi del Golfo di Bonagia e del Golfo di Cofano si incontrano nasce un promontorio teso verso il mare e, su di esso, si erge, con i suoi 659 m d’altezza, il Monte Cofano.

Merita di fregiarsi del titolo di riserva naturale per il suo grande valore sotto tutti i punti di vista: naturalistico, speleologico, storico, folkloristico e, ovviamente, paesaggistico.

Una ricca vegetazione tipicamente mediterranea interrompe le forme aspre e selvagge dei massicci dolomitici mentre sui fianchi si aprono le grotte, abitate fin dal paleolitico e oggi teatro del grazioso Presepe Vivente di Custonaci.

Riserva_Naturale_Orientata_Monte_CofanoPiù a valle, le torri di avvistamento ricordano l’epoca in cui le coste dovevano essere difese dalle incursioni dei pirati e i resti di un’antica tonnara testimoniano, qui come in tutta la zona circostante, il rilievo che la pesca del tonno ha avuto in passato per la popolazione locale.

E infine, cosa che più di tutte forse tocca il cuore del visitatore, lo splendido paesaggio che si apre alla vista. Dalla cima del monte, per chi ha la pazienza e la voglia di raggiungerla, il mare, colto in tutta la sua immensità, sembra ancora più blu a confronto con il verde che lo chiude sul golfo.

Le Grotte Numerose e di notevole interesse geologico e paleontologico, le grotte sulle pareti del Monte Cofano hanno permesso il ritrovamento di fossili, utensili e graffiti che ne testimoniano la frequentazione umana fin dal Paleolitico Superiore.

riserva Monte_CofanoFra tutte, la più famosa è sicuramente la Grotta di Scurati, vicino l’omonimo paesino, che ospita il celebre Presepe Vivente dove ogni anno la popolazione locale fa rivivere l’atmosfera della Natività.

I sentieri
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Un gradevole sentiero che segue la costa vi permetterà una rilassante passeggiata lungo tutto il periplo del promontorio. Il percorso, che non deve necessariamente essere compiuto per intero, richiede in totale circa 2 ore di cammino.

- Un sentiero interno raggiunge la cima del monte. Da qui si gode di uno splendido panorama sul golfo. La salita però richiede agilità e buono stato fisico dato i necessari passaggi fra le rocce. Può richiedere circa 3 ore di cammino, a seconda del punto di partenza. Si consiglia di evitarlo nelle ore più calde della stagione estiva.

Ente Gestore: Azienda regionale Foreste Demaniali
Via Libertà 97 - Palermo
Tel: 091 7906811 - Fax: 091 7906801

Monte_Cofano_Grotta_Scurati

Come arrivare:

da Palermo - imboccare la A/29 in direzione Trapani. Svoltare allo svincolo per Castellammare del Golfo e imboccare la SS 187 in direzione Trapani e svoltare al bivio per Custonaci. Da qui proseguire per Scurati.

da Trapani - dalla provinciale Torrebianca/Valderice imboccare la SS187 in direzione Trapani e svoltare al bivio per Custonaci. Da qui proseguire verso Scurati.

Riserva-Naturale-Orientata-Monte-Cofano-2La Fauna del Monte Cofano.

Uccelli - L'Avifaunaè ricca e varia. Sono state contate più di 50 specie nidificanti sul monte tra cui spiccano specie rare come una coppia di Aquile del Bonelli, rapace schivo e solitario a rischio d’estinzione, e di l'Averla capirossa, riconoscibile per la striscia rossa sulla testa. Nelle imponenti pareti rocciose del monte vivono il Falco Pellegrino conosciuto per la velocità con cui si getta sulle prede, il Corvo imperiale, splendido con sue grandi ali, il Gabbiano reale, il Passero solitario, diversi Rondoni, il Cormorano e la Coturnice di Sicilia specie purtroppo sempre più rara che gode dello stato di riserva naturale di quest’area.

Sono comuni invece i rapaci notturni: la Civetta e l'Assiolo che nidificano soprattutto tra la vegetazione arborea, mentre il Barbagianni e l'Allocco preferiscono le cavità delle pareti rocciose. Una nota di merito si deve all’Allocco per il particolare adattamento che ha sviluppato. Qui, come in altre zone della Sicilia, è riuscito a sfruttare la nicchia ecologica costituita dall'ambiente roccioso piuttosto che cercare i boschi a lui più consueti.

Il birdwatching può riservare piacevoli esperienze data l'abbondanza di specie migratrici che, in primavera ed all'inizio dell'autunno, transitano e sostano negli ambienti della Riserva e negli specchi di mare antistanti. Tra questi ci sono, ad esempio, il Martin pescatore e i Trampolieri. La presenza di numerosi rapaci è determinata dalla ricchezza delle loro prede, invertebrati, insetti e soprattutto rettili e piccoli mammiferi.

Tra i mammiferi presenti prevale l'Istrice, fra gli insettivori il Mustiolo, che è il più piccolo mammifero d’Europa, e la Crocidura di Sicilia, un'altra specie endemica del complesso insulare siculo-maltese. Fra gli anfibi, merita una citazione particolare il Discoglosso, specie endemica siciliana anch’essa a rischio d’estinzione.

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La Flora del Monte Cofano.

Grazie alla sua folta vegetazione, 325 specie di cui 19 endemiche, il promontorio di Monte Cofano costituisce un biotipo di grande interesse naturalistico-ambientale.

Il paesaggio é prevalentemente costituito da praterie di Disa, una delle erbacee più rappresentative del paesaggio mediterraneo, talvolta intervallata da macchia bassa o gariga a Palma nana, altra specie caratteristica di queste zone. Rimangono residui di macchia mediterranea preesistente costituiti da Lentisco con la sua fitta chioma irregolare, Terebinto, piccolo arbusto resinoso, Erica arborea e multiflora, Leccio, in grado di raggiungere anche i 20 m, e la Sughera dalla chioma ovale e folta.

Fra le specie endemiche troviamo l’Ericasicula, cespuglio dai rami legnosi e dai fiori di un rosa tenue ridotto ormai a pochi esemplari in tutta l’isola, l’Helichrysumrupestre var. cophanense, il Phagnalon metlesicsii, piccola pianta perenne dai fiori bianchi, il rarissimo Sparviere del Monte Cofano, una specie endemica localizzata solamente sulle rupi calcaree esposte a settentrione del Monte Passo del Lupo (Zingaro) e del Cofano; il Cavolo di Trapani, pianta endemica perenne che ha pochi esemplari qui e nelle Egadi , il Vilucchio turco. Il litorale è interessato da aspetti vegetazionali quali il Limoniumbocconei, il Crithmum maritimum, l’Astericus maritimus, il Lotus cytisoides, la Silene sedoides, Ferula, Papavero cornuto dai grandi fiori gialli.

monte cofano Brassica_drepanensis

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